Intervista alla dott.ssa Francesca de Filippi, epatologa CDI

La steatosi epatica (o «fegato grasso») è molto comune: interessa oltre il 25% della popolazione generale e oltre il 55% dei soggetti diabetici e/o obesi. È caratterizzata dall’accumulo intraepatico di trigliceridi, glucosio e colesterolo e la sua diagnosi avviene generalmente per caso, in seguito ad esami di funzionalità epatica che portano alla valutazione ecografica del fegato.
Nei soggetti in sovrappeso/obesità, con diabete o dislipidemia la steatosi è molto comune e viene definita steatoepatite non alcolica (NAFLD o NASH). Non tutti i pazienti con steatosi presentano valori di transaminasi e gGT alterati. Alcuni pazienti hanno esami perfettamente nella norma.
La steatoepatite (NASH o NAFLD) è una condizione più severa rispetto alla steatosi epatica o fegato grasso, in quanto determina uno stato infiammatorio cronico, che può portare a cicatrizzazioni e necrosi dei tessuti epatici, compromettendo in modo irreversibile le funzionalità del fegato. In questi casi si alterano anche altri valori (per esempio la ferritinemia (che, oltre a rappresentare i depositi di ferro, è correlata anche ad insulino-resistenza ed infiammazione epatica tipica della NAFLD), e gli altri indici di sofferenza metabolica: elevati livelli di glicemia, trigliceridi e colesterolo totale, bassi livelli di colesterolo “buono” HDL.
A che cosa è dovuta la steatoepatite?
La NASH (steatoepatite) si sta diffondendo sempre più ed è stata riscontrata persino nei bambini. Generalmente è dovuta ad un sovraccarico del metabolismo delle cellule epatiche che ricevono una quantità maggiore di grassi rispetto a quella che riescono a smaltire. Spesso si associa ad elevati livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue. È frequente nei pazienti in sovrappeso o obesi. La stima della prevalenza della steatoepatite si attesta intorno al 4%,
Le cause della steatoepatite non sono ancora del tutto chiare. Sembra accertato che concorrano più fattori, tra i quali un processo infiammatorio innescato da proteine tossiche che danneggiano le cellule epatiche. La ridotta sintesi di lipoproteine a densità molto bassa (VLDL),e l’aumentata sintesi epatica di trigliceridi provocano perossidazione lipidica che danneggia le membrane cellulari e può stimolare le cellule stellate del fegato causando fibrosi,che a lungo andare porta a cirrosi e ipertensione portale. Anche l’insulino-resistenza viene indicata tra le cause di questa patologia.
I sintomi
La maggior parte dei pazienti è asintomatica. Tuttavia, alcuni lamentano stanchezza, malessere, o fastidi nel quadrante superiore destro dell’addome. L’epatomegalia si sviluppa in circa il 75% dei pazienti. La splenomegalia può svilupparsi se è presente una fibrosi epatica in fase avanzata ed è abitualmente la prima indicazione che l’ipertensione portale si è sviluppata.
La diagnosi della steatoepatite
Gli esami di riferimento per la diagnosi sono:

- Esami del sangue per la ricerca dei test di funzionalità epatica: le transaminasi (enzimi indicati con le sigle GOT (o ALT) e GPT (o AST) e test per escludere altre cause di steatosi, quali l’epatite C e epatite B, i test per rare condizioni genetiche come Malattia di Wilson o l’emocromatosi genetica
- Ecografia addominale. Il segno tipico di steatosi è il cosiddetto “fegato brillante” o steatosico di vario grado da lieve e severa
- FibroScan® CAP che permette di quantificare sia il grado di fibrosi epatica (da F0 a F4) e il grado di steatosi (da S0 a maggiore di S3). Si tratta di un’apparecchiatura ad ultrasuoni che permette di analizzare con un esame indolore e non invasivo il grado di elasticità del fegato (elastografia epatica misurata in KPa) e la severità della steatosi (CAP misurato in dB/m), tramite una sonda applicata sulla cute e un sistema elettronico di controllo. Il risultato consente al medico di valutare la presenza di steatosi e di classificarla in assente (S0), lieve (S1), moderata (S2), avanzata (S3). La steatosi può essere associata contemporaneamente alla fibrosi, che può essere di grado lieve F1, moderata F2, severa F3 e cirrosi F4.
Il risultato diagnostico aiuta la prevenzione negli stadi iniziali della malattia, ma è anche un valido strumento per il monitoraggio e per valutare con continuità la progressione o la regressione sia della steatosi che della eventuale fibrosi.
- Risonanza Magnetica (RM) che riesce a quantificare la steatosi epatica e viene utilizzata in casi particolari
Solo in alcuni casi è necessario l’esame bioptico su un campione di tessuto epatico.
Terapia della steatosi e della NASH
Non esiste un trattamento farmacologico specifico. In alcuni casi le terapie per la cura del diabete sono efficaci anche per la cura della steatoepatite.
L’approccio più importante soprattutto nei soggetti sovrappeso od obesi, è assolutamente la riduzione del peso corporeo. Un calo ponderale del 7-10% può migliorare significativamente il grado di steatosi ed influenzare positivamente l’attività infiammatoria di malattia. La dieta deve essere comunque equilibrata evitando però grassi di derivazione animale (insaccati, carni e formaggio). Inoltre, si raccomanda l’astensione da alcolici
Oltre a seguire una dieta equilibrata e sana, è ideale praticare una moderata, ma costante attività fisica, non solo per il calo del peso ma anche per il generale benessere e miglioramento dell’attività metabolica (opportuno praticare almeno 45-60 minuti di attività fisica 3 volte la settimana). L’attività aerobica (camminate a passo svelto, corsa, nuoto, ciclismo) può essere preferibile perché facilita maggiormente il calo ponderale, ma anche l’attività di resistenza (ginnastica, pesistica) ha mostrato degli effetti benefici a livello metabolico ed epatico.
Il primo farmaco anti-NASH
Nei pazienti diabetici, dislipidemici e con obesità i farmaci utilizzati per dimagrire (semaglutide e/o liraglutide) hanno un buon effetto anche sulla setatosi; così come le statine che migliorando l’assetto lipidico e glucidico riducono la stetaepatite.
A marzo 2024 la Food and Drug Administration – agenzia regolatrice americana – ha autorizzato Resmetirom, il primo farmaco anti-NASH, in grado di determinare sia un miglioramento dell’infiammazione (steatoepatite), che della fibrosi epatica. È un attivatore parziale di un recettore dell’ormone tiroideo. Questo, una volta in funzione, riduce l’accumulo di grasso nel fegato.
I risultati dello studio randomizzato e in doppio cieco, pubblicati sul New England Journal of Medicine, hanno evidenziato che l’assunzione di una compressa al giorno del farmaco ha determinato la risoluzione della fibrosi rispettivamente nel 26% (resmetirom 80 milligrammi) e nel 30% (resmetirom 100 milligrammi) dei pazienti che avevano assunto il farmaco rispetto a coloro che invece avevano ricevuto soltanto il placebo (con 52 settimane di trattamento).
Il miglioramento della fibrosi di almeno uno stadio è stato ottenuto nel 24% (80 milligrammi) e nel 26% dei pazienti trattati (14,2 per cento con il placebo).