Per la Cassazione penale incombe sul datore di lavoro l’obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro: la “colpa organizzativa”, anche se non esplicitamente contestata nell’imputazione, può essere sufficiente a motivare una condanna, anche in presenza di ordini del datore di lavoro astrattamente idonei a evitare l’infortunio.
Il caso riguarda la condanna di un datore di lavoro per l’omicidio colposo di un suo dipendente, morto, a seguito di una caduta, mentre era intento a collocare dei pannelli di copertura di un capannone: le operazioni in quota per la copertura di un tetto avrebbero dovuto essere eseguite lavorando con due piattaforme contemporaneamente, come l’imputato aveva ordinato; le sue disposizioni, tuttavia, non avevano avuto concreta attuazione a causa di disfunzioni organizzative.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione sostenendo di aver dimostrato in dibattimento di aver ordinato ai lavoratori di utilizzare due piattaforme, impartendo quindi disposizioni corrette che avrebbero evitato l’incidente: di conseguenza non poteva essergli ascritta la responsabilità dell’evento sulla base del profilo di colpa considerato nella sua imputazione; la sua condanna sarebbe dunque erroneamente derivata dall’attribuzione di una sorta di “colpa organizzativa”, derivante dall’inefficiente organizzazione del lavoro, che non aveva costituito oggetto di esplicita contestazione nel corso del procedimento.
La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 16148 del 28 aprile 2021, ha però confermato la condanna, affermando che: «incombe sul datore di lavoro l’obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro e che questo, soprattutto quando implichi elevati profili di pericolosità, si svolga in condizioni di sicurezza, in modo che i lavoratori dispongano della necessaria strumentazione, rientrando nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro anche quello di allestimento dei mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l’avvio dell’attività non sia disposto prima che tali presidi siano disponibili in concreto. […] La Corte d’appello, quanto alla riproposta questione della valorizzazione di un profilo di colpa, per così dire organizzativa, non contestata nella imputazione, ha affermato che la responsabilità dell’imputato era stata ritenuta non in relazione alla mancata previsione astratta della necessità che la lavorazione avvenisse con l’uso della doppia piattaforma, ma con riferimento alla omessa disposizione che tale previsione fosse osservata in concreto. Ciò che, nella specie, non era avvenuto, non tanto per violazione di ordini impartiti dal datore di lavoro, quanto piuttosto per la contraddittorietà delle disposizioni impartite, nel concreto, in maniera tale che la seconda piattaforma non avrebbe potuto trovarsi tempestivamente in loco, cioè prima dell’inizio del lavoro».