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Responsabilità civile del medico competente

Assolto, in sede civile, un medico competente accusato di non aver valutato con sufficiente rigore l’idoneità di un lavoratore che, rientrato da poco in servizio dopo un infarto del miocardio, è deceduto per un altro infarto. Il sanitario aveva agito correttamente, ma anche una sua eventuale condotta colposa non sarebbe stata sufficiente a obbligarlo al risarcimento del danno agli eredi del lavoratore, in mancanza della prova che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del malato.

Il caso riguarda il decesso di un operaio comunale, rientrato al lavoro dopo un periodo di convalescenza per un infarto del miocardio e successiva angioplastica, che, mentre era alla guida di un automezzo per ragioni di servizio, veniva nuovamente colpito da infarto del miocardio, questa volta fatale. A seguito del decesso, gli eredi del lavoratore avevano convenuto INAIL innanzi al Tribunale, il quale, accertato che l’evento che aveva cagionato la morte lavoratore doveva essere considerato infortunio sul lavoro, aveva condannato INAIL alla corresponsione della relativa rendita ai superstiti.

Gli eredi del lavoratore hanno, quindi, convenuto in giudizio il Comune, il medico competente e l’A.S.L. perché ritenuti responsabili, per ragioni differenti, del decesso del congiunto e, pertanto, tenuti a corrispondere ai familiari il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Al medico competente veniva specificamente contestato di non aver valutato con sufficiente rigore l’idoneità del lavoratore alla mansione e di non aver considerato, quale fattore di rischio, la movimentazione manuale di carichi. I convenuti, presentando le loro difese, hanno invece evidenziato, fra l’altro, che la movimentazione manuale di carichi, valutata anche con riferimento ai protocolli OCRA (“Occupational Repetitive Action”), aveva evidenziato un rischio basso per la mansione del lavoratore in questione e che, sulla base della relazione di un medico legale, l’infortunio era accaduto sul lavoro ma non per lavoro, trattandosi di un’ischemia imprevedibile e non correlata all’attività lavorativa svolta.

La Prima Sezione del Tribunale Civile di Viterbo, con sentenza n. 183 del 24 febbraio 2023, ha respinto le richieste degli eredi del lavoratore, affermando che «[…] Né il Comune, né la ASL né il [medico competente] hanno infranto le previsioni che sanciscono gli obblighi di sorveglianza ad ognuno diversamente spettanti. In difetto di profili di negligenza nella condotta dei convenuti, un’ultima doverosa considerazione si impone, ovvero quella per cui, in ogni caso non si è nemmeno raggiunta la prova secondo la quale la mancata osservanza di quanto d’obbligo sarebbe stato di per sé sufficiente a permettere di dichiarare la loro responsabilità dell’ente. La condotta colposa del medico competente, in considerazione dei doveri cautelari attribuitigli dall’ordinamento giuridico in ragione della sua specifica posizione di garanzia deve sussistere unitamente al nesso di causalità tra la condotta omissiva tenuta dal medico e il decesso del paziente, quando è accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del malato. Tale valutazione deve essere svolta tenendo conto di quale sia la specifica attività che il Medico ha valutato sia con riguardo alle condizioni di salute del paziente con riferimento alla propria qualifica di medico competente. Il contegno del [medico competente] pare corretto per aver rilasciato il certificato con indicazioni precise a fronte delle condizioni rilevate durante la visita nonché, soprattutto, dagli accertamenti compiuti e contenuti nella sua cartella sanitaria […]».

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