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A due anni dalla pandemia, è cambiata la nostra qualità di vita?

Intervista alla dott.ssa Elena Mandorino, psicologa CDI.

La condizione pandemica causata dal COVID-19 è diventata una preoccupazione cronica. Gli isolamenti continui, i cambiamenti avvenuti nella propria vita quotidiana, le difficili condizioni economiche, la riduzione della socialità stanno influenzando la salute mentale e il benessere di molti.

L’attuale epidemia sta, infatti, alimentando in modo differenziale manifestazioni psicologiche significative e problemi mentali non specifici (disturbi del sonno, comportamenti simili alla fobia, sintomi simili al panico, malumore). Ad oggi, sia il personale sanitario impegnato in prima linea al fronteggiamento del covid sia le persone della popolazione generale sembrano vivere una nuova configurazione di stress psicologico: lo scoraggiamento.

Uno studio recente condotto presso l’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona sulle conseguenze psicologiche da pandemia, ha esaminato 1033 operatori sanitari impegnati nella lotta al covid. La situazione psicologica sembra peggiorata a causa dell’aumento della sensazione di stanchezza come conseguenza della condizione pandemica.

A marzo 2020, in fase di lockdown, si sono registrate soprattutto reazioni di shock e di paura di contagio; è come se l’ingresso del virus nelle nostre vite fosse stato vissuto come un trauma. Lo studio ha rilevato la manifestazione, nel 2020, di condizioni clinicamente significative e con una prevalenza di: ansia 50%, depressione 27%, burnout 29%. Uno dei fattori che ha pesato di più è stato l’andamento a cascata degli accessi in gravi condizioni. Oggi, i tassi di condizioni psicologiche clinicamente significative sono aumentati.

Anche la popolazione generale sta manifestando differenti tipologie di reazioni emotive negative che vanno dall’ansia alla tristezza, dalla rabbia alla noia, dalla colpa a stati di disperazione.

La manifestazione di stress psicologico caratterizzante la prima fase pandemica, aveva una componente principalmente ansiosa, mentre nella terza fase sembrano prevalere di più il logoramento e la difficoltà a portare avanti la quotidianità senza essere scoraggiati.

La casa paradossalmente è diventata il luogo, il rifugio da cui non si vuole più uscire. E questo ci fa riflettere su una tendenza a estremizzare la reazione di sicurezza, generata a sua volta da uno stato di allarme cronico. Mentre dapprima si ha avuto una reazione di freezing e una successiva esplorazione dell’ambiente invaso dal virus, ora la paura sembra porta alla retrazione e alla chiusura. Tanto da mostrare rassegnazione esprimendo il pensiero che “tutti ci prenderemo il covid”.

È un sentimento diffuso e condiviso, e per questo è fondamentale impegnarsi a mantenere e coltivare la propria socialità, nel rispetto delle norme vigenti: i prezzi, in termini di impatto psicologico negativo, potrebbero emergere se questa viene sacrificata.

Inoltre è altrettanto importante chiedere – laddove fosse possibile – assistenza psicologica, affinché si possa sentire in un luogo sicuro in cui poter esprimere le emozioni dolorose, la paura, la frustrazione, il senso di impotenza e la rabbia.

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