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Mobbing, straining e ambienti stressogeni

Secondo recenti orientamenti della Cassazione civile le nozioni di mobbing e di straining sono meramente sociologiche e, quindi, irrilevanti ai fini giuridici: ciò che conta è il configurarsi di una condotta del datore di lavoro atta a consentire il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori.

Il caso riguarda la domanda, da parte di una dipendente comunale, di condannare il Comune al risarcimento dei danni patiti per non aver impedito condotte mobbizzanti nei suoi confronti e non aver, quindi, garantito la sua salute e sicurezza, in violazione degli artt. 2103 e 2087 c.c.. Sia in primo che in secondo grado la domanda era stata rigettata, ritenendo che non ricorresse la prospettata ipotesi di mobbing, dal momento che le condotte denunciate mancavano della caratteristica della sistematicità e non erano riconducibili a un unitario disegno persecutorio. Inoltre, la Corte d’appello aveva dichiarato l’inammissibilità, in quanto domanda non tempestivamente formulata dalla lavoratrice, della richiesta di valutazione della vicenda sotto il profilo della più tenue ipotesi di straining, cioè una condotta vessatoria caratterizzata da molestie isolate e prive della continuità tipica del mobbing.

La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione lamentando, fra l’altro, l’erroneità delle sentenze per non aver consentito la valutazione delle condotte denunciate in relazione a ragioni di responsabilità diverse rispetto al mobbing originariamente prospettato.

La Sezione Lavoro della Cassazione civile, con sentenza n. 31912 del 11 dicembre 2024, ha accolto il ricorso affermando che: «[…] il secondo motivo appare meritevole di accoglimento trovando riscontro nell’orientamento di recente invalso nella giurisprudenza di questa Corte, che attribuisce valenza meramente sociologica alle nozioni di mobbing e di straining sancendone lo loro irrilevanza ai fini giuridici in relazione ai quali ciò che conta è il configurarsi di una condotta datoriale che si riveli illegittima, anche soltanto a titolo di colpa, in quanto atta a consentire il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, in contrasto con l’art. 2087 c.c., inteso quale obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato, derivandone la necessità di porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi ma tali da poter indurre disagio o stress che si manifestano isolatamente o invece si connettono ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio […]».

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