La Cassazione civile conferma il suo orientamento in materia di onere della prova nei casi di mobbing: spetta al lavoratore provare l’esistenza di comportamenti vessatori o intimidatori, ripetuti e costanti, diretti nei suoi confronti, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali comportamenti sussiste, per il datore di lavoro, l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno.
Il caso riguarda una domanda di risarcimento dei danni derivanti da condotte mobbizzanti,asseritamente patite da un magazziniere, respinta dalla Corte d’Appello per mancato assolvimento dell’onere probatorio, ricadente sul lavoratore, sull’esistenza di comportamenti vessatori o intimidatori, ripetuti e costanti, diretti nei suoi confronti.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione contro tale decisione, affermando, fra l’altro, che la sentenza avrebbe errato nel ritenere non provati gli atti vessatori sulla base del solo esame delle testimonianze, senza tenere conto della certificazione medica e della relazione medica del CTU che avrebbero fornito prova del danno alla salute, riconducibile all’attività lavorativa, patito dal ricorrente.
La Sezione Lavoro della Cassazione civile, con ordinanza n. 21682 del 20 luglio 2023, ha respinto ilricorso, ritenendo che «[…] in tema di onere della prova in riferimento al diritto al risarcimento dei danni in favore del lavoratore per violazione degli obblighi del datore di lavoro di sicurezza e di protezione della salute del lavoratore di cui all’art. 2087 c.c., è stato chiarito dalla giurisprudenza costante di questa Corte che non si tratta di ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, e che i rispettivi oneri di allegazione e prova sono articolati come segue: il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e a provare il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno, mentre al datore di lavoro, in ragione del suo dovere di assicurare che l’attività lavorativa non risulti pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del dipendente, spetta dimostrare che la prestazione si è, invece, svolta secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili, […] appunto poiché l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. […]».