L’allungamento della vita media (85 anni attualmente per la donna) fa sì che si viva 30 anni in postmenopausa. Non è cosa di poco conto ed è doveroso, dunque, che i medici si impegnino affinché questo ampio lasso di tempo si trasformi in anni di “vita buona”. Intervista alla dott.ssa Antonella Tamborini, ginecologa CDI
La vita della donna più che da un “continuum” è sottolineata da una serie di tappe ed eventi che la caratterizzano e la definiscono in modo significativo.
La menopausa è, certamente, uno di questi ed ora più che mai riveste il ruolo di tappa fondamentale, “l’inizio” di una nuova fase della vita.
L’allungamento della vita media (85 anni attualmente per la donna) fa sì che si viva 30 anni in postmenopausa. Non è cosa di poco conto ed è doveroso, dunque, che i medici si impegnino affinché questo ampio lasso di tempo si trasformi in anni di “vita buona”.
Secondo l’OMS, la salute viene definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattia o infermità”.
Ebbene, tale stato di benessere, con il sopraggiungere della menopausa e con la deprivazione estrogenica, viene spesso a mancare.
La menopausa, benché naturale, è un evento che, in talune situazioni, può rivelarsi quasi drammatico, tanto più se si considera che si inserisce in una cornice sociale, già di per sé, faticosa: basti pensare al pensionamento, all’allontanamento dei figli e all’invecchiamento dei genitori, tutti fattori che sottopongono la donna ad un carico emotivo non indifferente.
Senza arrivare a Leopardi e a volerla considerare come “matrigna”, la natura può, talvolta, non rivelarsi del tutto benevola ed è compito della medicina, darle una mano, laddove possibile, correggendo quei difetti che sono insiti nella natura stessa.
Carenza degli estrogeni: quali gli effetti sulla salute della donna
Gli estrogeni, checché se ne dica, sono un “privilegio biologico” e, quando ne veniamo private, possiamo andare incontro a disturbi, che minano la qualità della vita e che creano difficoltà a stabilire un nuovo equilibrio.
Non è solo l’apparato genitale a subire modificazioni, con la cessazione dei flussi. Cuore, ossa e cervello sono coinvolti pesantemente in questo processo e risentono della carenza estrogenica al pari dell’apparato genitale stesso.
La comparsa di ipertensione, l’ipercolesterolemia e il conseguente aumento del rischio cardiovascolare sono una nota conseguenza del difetto estrogenico. La curva dell’incremento della patologia cardiaca aumenta nella donna dopo la menopausa e raggiunge quella maschile intorno ai 70 anni.
È altresì noto l’aumento del rischio di osteoporosi, che rappresenta, nelle ultime decadi di vita, una delle cause, se non la causa di maggior morbilità e mortalità, con costi sociali elevatissimi.
Anche il cervello soffre. La carenza di ormoni femminili (estradiolo e progesterone) e la riduzione, età dipendente, dell’ormone maschile per eccellenza, il testosterone, agiscono da acceleratore sulla neuroinfiammazione, che alimenta sia la depressione e il deterioramento cognitivo. La depressione induce un rallentamento diffuso dell’attività cerebrale, un “cervello in frenata”, nel quale si disattivano le interconnessioni tra i neuroni e viene meno la normale “manutenzione” delle cellule neuronali.
Sappiamo come le situazioni di stress aumentino il cortisolo, ormone dell’emergenza: a loro volta, alti livelli di cortisolo aumentano la neuro infiammazione, che peggiora depressione e demenza. Ogni vampata di calore, raddoppia i livelli di cortisolo e li mantiene più alti per le 2, 3 ore successive alla vampata stessa: a questo punto dovrebbe essere tutto chiaro. Ed è chiaro perché le raccomandazioni delle Società di Menopausa sono quelle di trattare, particolarmente le donne fortemente sintomatiche, perché, oltre che a sperimentare un maggior disagio, sono anche quelle che risentono maggiormente su tutti gli altri metabolismi.
Anche se un’osteopenia o, peggio ancora un’osteoporosi, e buona cosa che vengano trattate, anche in assenza di una sintomatologia vasomotoria vistosa.
Atrofia dell’apparato genitale e urinario: cosa fare
C’è, poi, tutto il panel dei sintomi legati all’atrofia dell’apparato genitale ed urinario che si configurano nella cosiddetta “sindrome genito urinaria”, caratterizzata da sintomi ben noti alle donne in menopausa: secchezza, bruciore, prurito dolore ai rapporti, cistiti e uretriti. Uno studio australiano ha dimostrato che già dopo tre anni dalla menopausa, oltre il 44 % delle donne soffre di questi disturbi e, per quanto riguarda le donne italiane, tale percentuale sale al 79%.
La Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS)
Una soluzione a tutto ciò c’è ed è la terapia ormonale sostitutiva (TOS). Se gli ormoni vengono meno, come avviene in altri distretti, ad esempio la tiroide, oppure il pancreas nel caso del diabete, è del tutto normale fornirli all’organismo, anche farmacologicamente. La terapia eziologica (ovvero, quella che rimuove la causa alla base), è per la medicina il gold standard, l’obiettivo principe. Perché, dunque, in Italia, la percentuale di donne utilizzatrice si attesta solo intorno al 5/6% e tale percentuale non si è modificata negli ultimi 30 anni? Responsabile è, di base, una certa diffidenza nell’utilizzo degli ormoni, sia da parte delle donne che della stessa classe medica, cui si aggiunge un atteggiamento a considerare del tutto naturale e ineluttabile l’accettazione di una sintomatologia fastidiosa, come quella climaterica. Uno studio mal condotto dagli Americani (il famoso WHI del 2002) ha dettato ulteriori ombre sulla terapia ormonale, decretando una diminuzione del suo utilizzo persino nel Nord Europa, dove, storicamente, ha sempre avuto una diffusione maggiore (58 % delle donne la utilizzano). I dati di questo lavoro sono stati 18 anni dopo rivisitati e hanno evidenziato che, se correttamente iniziata, tra i 50 e i 60 anni, ovvero, in generale, entro i 10 anni dalla menopausa, non solo la morbilità, ma anche la mortalità globale delle donne utilizzatrici si riduce. Si riduce non solo la mortalità per cause cardiovascolari, ma anche quella globale per tutti i tumori in generale, e ciò anche a fronte di quel modesto incremento del rischio di carcinoma mammario (0.08%), oltretutto, in generale, ben controllato e curabile, grazie alla diagnosi precoce.
Quando la TOS non serve o non può essere prescritta
Va detto, tuttavia, che non tutte le donne sperimentano la “sindrome climaterica” con tutta la sua corte di sintomi, che vanno dalle vampate, all’insonnia, alle variazioni dell’umore, ai dolori osteoarticolari e alla secchezza genitale. C’è un 20% della popolazione femminile che traghetta serenamente dal periodo fertile e che approda, talvolta addirittura con gioia, nel paradiso della cessazione dei flussi (basti pensare alle sfortunate che hanno sperimentato la dismenorrea – il dolore mestruale – o il dolore pelvico cronico, non mitigato da un accorto utilizzo dei contraccettivi orali). A questa categoria di donne la terapia sostitutiva non serve, così come, occorre sottolineare che ci sono donne, che, pur potendone beneficiare, non possono utilizzarla per la presenza di controindicazioni assolute.
Donne con carcinomamammario, epatopatie gravi, o soggetti con rischio tromboembolico, non possono essere candidate alla TOS. Per queste pazienti occorre rivolgersi ad altre forme di terapia, come la fitoterapia, nonché ad un adeguato stile di vita, che contempli una sana nutrizione, una moderata attività fisica, l’abbandono del fumo e il consumo moderato di alcol. Lo stile di vita, va sottolineato, è fondamentale anche per chi assume ormoni, perché non si può pretendere di demandare tutto alla sola farmacologia. Un corretto stile di vita è imprescindibile in ogni caso. Una nuova soluzione potrebbe essere, inoltre, prospettata per la fine del 2023 o l’inizio del 2024, per le donne con sintomatologia vasomotoria (vampate e sudorazioni), che non possano sottoporsi alla TOS: si chiama Fezolinetant, non è un ormone ed è stato approvato recentemente dalla Food and Drug Administration (FDA), che regolamenta in prodotti che vengono immessi in commercio, dagli alimenti ai farmaci, rigorosamente processati per garantire la salute dei cittadini.
La terapia per la menopausa deve essere per l’appunto, personalizzata, al fine di trovare la soluzione più idonea per ogni donna: farmaco, dose, via di somministrazione (sistemica o topica). Il solo disturbo genito urinario potrebbe essere risolto, ad esempio, con la semplice terapia locale a base di estriolo, un estrogeno leggero (in ovuli, crema o gel) o di prasterone (DHEA sintetico), o, ancora di promestriene, un prodotto che esiste da molto tempo e che non supera la barriera vaginale. Tutti prodotti molto sicuri, da poter applicare con tranquillità. Non va dimenticata, una molecola più recente, l’ospemifene, un antiestrogeno sistemico, che può essere utilizzato anche dalle donne con pregresso carcinoma della mammella, che abbiano terminato i cicli di terapia. Anche gel, ovuli, creme, non contenenti estrogeni, possono essere ugualmente utilizzati da quella quota di donne che non presenti un disturbo pesante.
Insomma, una soluzione c’è per tutto e per tutte: va cercata e trovata, per poter vivere al meglio questa nuova fase della vita. Buona Menopausa a tutte!