Le infezioni del tratto respiratorio sono tra le patologie più frequenti, diffuse in tutto il mondo, colpiscono tutte le fasce di età, con caratteristiche differenti a seconda che si tratti di bambini, adulti, anziani, soggetti sani o portatori di una o più patologie croniche. Intervista alla dott.ssa Cristina Balzarotti, pneumologa CDI
Le infezioni respiratorie possono interessare le vie aeree superiori, faringe e laringe, e inferiori, bronchi e tessuto polmonare, che sono collegate tra loro dalla trachea, il bronco più grande, che parte dalla laringe e si divide in numerose ramificazioni sempre più piccole, i bronchi e i bronchioli.
Come distinguere le polmoniti?
Le polmoniti si possono classificare con diversi criteri:
- la localizzazione: polmone destro o sinistro, i campi polmonari superiore, medio e inferiore o basale, o meglio ancora secondo la parte anatomica interessata (lobo polmonare o segmento, che è una parte del lobo);
- la causa: batteri, virus, miceti (funghi), che danno infezioni, agenti esterni (farmaci, radiazioni) che provocano polmoniti non infettive;
- la modalità di contagio: polmoniti acquisite in comunità (CAP, community acquired pneumonia), ossia infezioni contratte nella normale vita quotidiana; polmoniti ospedaliere, più gravi perché colpiscono soggetti già affetti da altre patologie e perché in ospedale albergano germi più aggressivi e spesso resistenti agli antibiotici; polmoniti in soggetti sottoposti a ventilazione invasiva, cioè intubati anche non per patologie respiratorie.
Qual è la forma più pericolosa?
La polmonite acquisita in comunità rappresenta una delle più comuni cause di morte per patologia infettiva. L’incidenza annua stimata negli ultrasessantacinquenni è compresa fra i 25 e i 44 casi per mille, con differenze in relazione all’età. Nella fascia dai 65 ai 69 anni per esempio, l’incidenza si assesta intorno ai 18,2 casi per mille, per salire a 52,3 casi per mille nella popolazione che ha superato gli 85 anni. Un gradiente che esiste anche per quanto riguarda i ricoveri. Se la percentuale media di pazienti ultrasessantacinquenni che vengono ricoverati per polmonite è infatti del 18,3 per mille (nei più giovani è del 4 per mille), la frequenza è 5 volte superiore negli ultra novantenni rispetto ai soggetti della fascia 65-69 anni. Un fenomeno riconducibile a una serie di fattori, dalla maggiore o minore autosufficienza, alla presenza di comorbilità, dallo stato nutrizionale alla presenza di disturbi della deglutizione, all’immunosenescenza (2).
Quali sono i sintomi?
I sintomi dei diversi tipi di polmoniti sono aspecifici: febbre, astenia, dolori osteomuscolari, cefalea, raffreddore, mal di gola, congiuntivite all’esordio, tosse prevalentemente secca possono indirizzare verso origine virale.
Nelle polmoniti batteriche di solito la tosse è catarrale.
Le vie aeree e i polmoni sono costantemente esposti ai patogeni dell’ambiente esterno; le vie aeree superiori e l’orofaringe in particolare, sono colonizzati dalla cosiddetta flora residente, che non causa malattia. La microaspirazione di questi agenti patogeni del tratto respiratorio superiore verso le vie aeree inferiori è un evento normale, ma questi patogeni sono prontamente debellati da meccanismi di difesa dell’ospite.
La polmonite batterica
La polmonite batterica si sviluppa se i meccanismi di difesa sono compromessi (età avanzata, malattie croniche, neoplasie, immonodepressione, esposizione al fumo), se la macroaspirazione porta a un grande inoculo di batteri che le normali difese dell’ospite non riescono a fronteggiare, se viene introdotto un agente patogeno particolarmente virulento o in alta carica.
I batteri riescono a raggiungere gli alveoli, microscopiche cavità che sono le unità finali dei bronchi più piccoli. Questa infezione porta a una cascata complessa di fenomeni infiammatori. Ne consegue che gli alveoli si riempiono di liquidi e cellule infiammatorie, causando un “addensamento” del tessuto polmonare, che assume aspetti tipici e patognomonici alla radiografia del torace.
La terapia delle polmoniti batteriche si basa su antibiotici.
La polmonite virale
I virus possono raggiungere i polmoni da una serie di percorsi diversi. I comuni virus dell’influenza o del raffreddore si diffondono facilmente attraverso goccioline (le droplets), trasportate via aria per inalazione, veicolate soprattutto da tosse o starnuti attraverso la bocca o il naso, le mani che abbiano sulla loro superficie anche solo tracce di secrezioni. Le mani possono trasmettere i germi contaminando occhi, bocca e naso.
Numerosi virus sono responsabili di quadri polmonitici che interessano più frequentemente l’interstizio polmonare, radiologicamente differenti da quelli delle polmoniti alveolari provocate, invece, dai batteri visti prima.
Le polmoniti virali rappresentano circa il 30% di tutte le polmoniti dell’adulto, e circa il 20% delle polmoniti che compaiono in età pediatrica.
Gli agenti patogeni di più comune riscontro nelle polmoniti di origine virale sono rhinovirus, orthomyxoviridae, virus respiratorio sinciziale umano, adenovirus nonché i virus parainfluenzali umani, coronavirus.
I coronavirus sono virus già noti, spesso causa di raffreddori. Quello che in questi giorni ha drammaticamente colpito il nostro Paese è un virus nuovo, chiamato SARS Covid-19, che attraverso una sua mutazione genetica ha fatto il cosiddetto “salto di specie”, passando dagli animali all’uomo, che è totalmente sprovvisto di anticorpi per combatterlo. E’ caratterizzato da una infettività maggiore del virus influenzale.
L’interstizio polmonare: cos’è
La caratteristica delle polmoniti virali è l’interessamento dell’interstizio polmonare.
Il vocabolo interstizio deriva dal latino tardo interstitium, formato da inter cioè “tra” e dalla radice stare, significa quindi “stare tra”. Il tessuto interstiziale è ubiquitario nei vari organi. Considerato un tessuto (insieme di cellule), grazie a nuovi studi è stato classificato come un organo (insieme di più tessuti con una propria funzione), costituito da una fitta rete di canali pieni di liquido, detto appunto interstiziale, che si trova in quasi tutti gli apparati dell’organismo umano, tanto da essere uno degli organi più presenti e diffusi nel corpo umano.
Nel polmone l’interstizio può essere considerato come il suo scheletro, che provvede al supporto delle vie aeree e dei vasi polmonari, da quelle di maggior calibro alle piccolissime delle regioni polmonari periferiche.
I virus che infettano i polmoni vanno a colpire proprio questa parte, dove avviene il passaggio tra sangue, che arriva da tutto il corpo carico di anidride carbonica che deve essere eliminata, e alveolo, che deve scambiare sempre attraverso i capillari l’ossigeno che arriva agli alveoli attraverso il nostro respiro.
Quindi la polmoniti interstiziali, spesso virali, possono portare a gravi difficoltà nello scambio dei gas e provocare insufficienza respiratoria, con marcata riduzione dell’ossigenazione, tanto più grave in presenza di malattie croniche polmonari, malattie cardiache, diabete mellito (stato di debilitazione e facilità alle infezioni), stati di immunodepressione (l’età avanzata comporta di per sé riduzione delle difese immunitarie).
Il coronavirus, che può anche provocare forme lievi, con pochi sintomi quali tosse, congiuntivite, febbre non sempre elevata, provoca polmoniti interstiziali, caratterizzate sempre da affanno, all’inizio da sforzo anche minimo (cammino, pochi scalini) e poi ingravescente e a riposo.
In questi casi è necessario un supporto ventilatorio con ossigeno, dalla semplice mascherina, a volte corredata da ausili che ne aumentano l’efficacia, alla ventilazione, che può essere non invasiva (senza intubazione del paziente, con ventilatori che spesso utilizzano caschi che forniscono ossigeno a pressione positiva) fino alla ventilazione invasiva (con intubazione orotracheale e necessità di sedazione del paziente e permanenza in unità di terapia intensiva).
I virus non sono sensibili agli antibiotici, esistono antivirali che sono somministrabili solo in ospedale. Per il Covid-19 si stanno attuando terapie con vari antivirali ed altri farmaci, seguendo protocolli diversi ma assolutamente controllati, per poterne valutare l’efficacia.
Il passo avanti sarà la disponibilità di un vaccino.
Per ora non esistono vere armi preventive, ma uno stile di vita sano, l’astensione dal fumo, il controllo rigoroso di eventuali patologie concomitanti sono sicuramente da attuare.
I vaccini
Ovviamente per altri virus come quello influenzale il vaccino è disponibile e purtroppo ancora poco diffuso: evitare una sindrome influenzale significa non mettere a dura prova le proprie difese immunitarie che potranno così meglio reagire rispetto ad altre infezioni.
Per quanto riguarda i batteri in particolari quelli respiratori abbiamo a disposizione il vaccino antipneumococcicco. Il tipo 13-coniugato, consigliato ad anziani o pazienti con patologie croniche, si esegue una sola volta nella vita e può essere eseguito anche se il soggetto in passato è già stato sottoposto alla vaccinazione con il tipo 23-valente, più utilizzato negli anni scorsi. Quest’ultimo, 23-valente, può essere somministrato, per ulteriore rinforzo dell’immunità, dopo un anno dal 13-coniugato.
Un altro vaccino disponibile per batteri che colpiscono l’apparato respiratorio e l’anti-Haemophilus influenzae (si tratta di un batterio e non del virus influenzale).