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I confini della responsabilità del “preposto di fatto” secondo la Cassazione penale

Il “preposto di fatto” non può essere considerato colpevole di omissione di vigilanza se non si ha la prova della sua conoscenza, o almeno della concreta conoscibilità, della prassi incauta che ha portato all’infortunio: altrimenti si rischia di sconfinare nella responsabilità oggettiva.

Il caso riguarda la condanna del responsabile di un supermercato per non aver provveduto a sovrintendere e vigilare affinché un dipendente utilizzasse i mezzi di protezione collettivi di una macchina sega-ossi in conformità alle istruzioni d’uso del fabbricante, così procurandosi una ferita alla mano. A tale proposito la Corte d’Appello aveva evidenziato che, essendo il caporeparto della macelleria in ferie al momento dell’infortunio, la posizione di garanzia di preposto di fatto gravava sul responsabile del supermercato, nonostante egli avesse assunto l’incarico solo da pochi giorni.

Il responsabile ha proposto ricorso per cassazione contestando, fra l’altro, che la causa dell’infortunio andasse individuata nel mancato utilizzo, da parte del lavoratore, di una protezione presente sul macchinario, prassi di cui lui non era a conoscenza, avendo assunto l’incarico di direttore del punto vendita, composto di molti reparti e di altrettanti capi reparti, soltanto cinque giorni prima dell’infortunio, non avendo quindi avuto modo di venire a conoscenza della prassi scorretta invalsa nel reparto che aveva portato all’infortunio.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 1096 del 13 gennaio 2021, ha accolto il ricorso, affermando che: «la veste di “preposto di fatto” che il giudice di appello attribuisce al [responsabile], attesa l’assenza per ferie del [caporeparto], non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. È pur vero che il preposto è soggetto agli obblighi di cui al citato D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, ma un’eventuale condotta omissiva al riguardo non può essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata. Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttività. Ma quando, come in questo caso, non vi siano elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del garante – che, nel caso in esame, proprio perché preposto non vantava uno specifico interesse al riguardo – è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilità. Diversamente opinando, si porrebbe in capo alla figura che riveste una posizione di garanzia una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva […]».

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