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Due anni di covid e lo spettro della guerra: la resilienza chiede asilo politico

Intervista alla dottoressa Irene Vanelli, Psichiatra CDI

La quotidianità e il benessere, come lo conoscevamo, sono sbiaditi ricordi. I nostri equilibri sono stati travolti da uno tsunami che ha colpito le nostre emozioni, creando scompiglio e disorienta-mento nelle nostre vite. L’epicentro di questo cataclisma lo intravediamo ancora: la pandemia COVID; e, prepotente, dalle sue ceneri un nuovo spettro si affaccia: la guerra. Lo scenario che si presenta, dopo ormai due anni, è quello di una guerra di trincea: logoramento, frustrazione, esasperazione, demoralizzazione. Siamo vittime della Sindrome Generale di Adattamento: il nostro corpo, reduce da anni di stress protratto e incalzante, lancia inequivocabili segni di malessere. Come già evidenziava Selye nel 1976, le risorse a disposizione del nostro organismo sono limitate e il loro costante stillicidio può portare alla comparsa di condizioni patologiche. La risposta maladattiva può risultare nella comparsa di sintomi emotivi o comportamentali tali da causare una significativa sofferenza soggettiva e compromissione del funzionamento sociale e lavorativo della persona. Le prime stime mondiali riportate su Lancet riferiscono di 53 milioni di casi in più di depressione maggiore (+28%) e 76 milioni di casi in più di disturbi d’ansia (+26%) nel 2020 direttamente collegati alla pandemia.

Cosa intendiamo per STRESS?

Da un punto di vista etimologico l’inglese “stress” è correlato al latino strictus (stringere). Il termine stress è stato mutuato dalla metallurgia dove indica “la pressione che si applica ad un metallo per testarne la resistenza” e riadattato in ambito medico e psicologico con il significato di “pressione”. L’evoluzione etimologica del termine ha portato a estendere il significato iniziale di “avversità, difficoltà, afflizione”, a un concetto più ampio: “pressione, sollecitazione, tensione o sforzo”, implicando una “spinta a reagire esercitata sull’organismo da diversi stimoli sia esterni all’individuo, sia interni”. Lo stress non è pertanto una condizione necessariamente patologica e negativa, ma una reazione in primo luogo adattativa, in quanto finalizzata a ristabilire o a mantenere l’equilibrio. Assistiamo, tuttavia, allo sviluppo di una risposta patologica quando l’agente stressante è particolarmente intenso, o quando più fattori stressanti agiscono contemporaneamente, oppure ancora quando l’azione degli agenti stressanti è prolungata nel tempo.

Che cosa accade al nostro corpo sotto assedio?

Il nostro corpo è fisiologicamente predisposto a reagire allo stress, attuando un insieme di reazioni difensive di natura fisiologica e psicologica volte a far fronte ad una minaccia o ad una sfida (Selye, 1936). In risposta a uno stimolo stressante l’organismo predispone una reazione in tre fasi:

1. Allarme: avvengono delle modifiche dell’assetto biochimico ed ormonale che permettono al corpo di mobilitare le energie e le risorse per difendersi in modo efficace. Centrali in questa fase sono gli ormoni adrenalina e noradrenalina. Viene attivato il sistema nervoso autonomo che sostiene lo stato di attivazione necessario al potenziamento delle risorse cognitive e comportamentali per adattarsi alla nuova situazione (aumento dell’attenzione a stimoli interni e esterni, aumento della velocità di valutazione e confronto, aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca, del tono muscolare e della reattività motoria).

2. Resistenza: in questa fase l’organismo tenta di contrastare gli stimoli stressanti attraverso un prolungamento dello stato di attivazione che è sostenuto da un meccanismo di rilascio ormonale (ormone adrenocorticotropo -ACTH-, adrenalina, noradrenalina, cortisolo) che permette di ottimizzare le prestazioni cognitive e comportamentali per far fronte all’evento stressante, mobilizzando le riserve energetiche immagazzinate nell’organismo e riducendo i meccanismi accessori superflui dispendiosi e non necessari alla riposta difensiva (tra cui: riduzione della risposta immunitaria, alterazioni del ciclo mestruale).

3. Esaurimento: il protrarsi eccessivo della fase di resistenza porta al progressivo esaurirsi della capacità di adattamento con conseguente crollo delle difese. Il corpo va incontro ad esaurimento funzionale che interessa, in prima battuta, gli organi. Tanto più la resistenza allo stressor permane, tanto più l’organismo va in sofferenza, fino a sviluppare patologie difficilmente reversibili che possono portare anche alla morte.

L’esaurimento nervoso, ovvero: la Sindrome Generale di Adattamento

L’esposizione eccessivamente protratta, o intensa, allo stressor comporta il perpetuarsi di meccanismi fisiologici di risposta allo stress e l’instaurarsi di una condizione di dispendio energetico che porta al progressivo esaurimento delle riserve energetiche fino a quando l’organismo non è più in grado di mantenere lo stato di resistenza. La risposta allo stress è costituita da un insieme di reazioni a catena che coinvolgono il nostro corpo su più piani: sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. Ciò che osserviamo è il comparire di uno stato di sofferenza, fisica e psichica, denominato Sindrome Generale di Adattamento. Tale condizione si caratterizza per l’insorgenza di uno stato di affaticamento con difficoltà di concentrazione e di attenzione, problematiche digestive, indolenzimento muscolare, spossatezza, cefalea, salute cagionevole con predisposizione ad allergie e maggior facilità a contrarre malattie, insonnia, irritabilità e, ancora, possibile comparsa di ansia e stato depressivo. Lo sviluppo di tale condizione è da ricercarsi nei cambiamenti ormonali e metabolici coinvolti nella reazione allo stress: come detto, l’attivazione di sistemi ormonali (in particolare dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene) porta all’aumentata produzione di ormone adrenocorticotropo (ACTH); il rilascio di ACTH, stimolato da acetilcolina e serotonina, comporta l’incremento del triptofano plasmatico e il conseguente aumento della sintesi di serotonina: più serotonina viene rilasciata, più triptofano viene consumato. Condizioni di stress prolungato portano pertanto al consumo di triptofano e di serotonina con conseguenti ripercussioni sul tono dell’umore (depressione) e incremento dei livelli di ansia. L’ipercortisolemia, indotta dal rilascio di ACTH, è invece responsabile della riduzione della risposta immunitaria, aumento del catabolismo proteico tissutale (indolenzimento muscolare, affaticabilità, riduzione della massa muscolare), riduzione del contenuto minerale delle ossa (rischio di osteoporosi) e insonnia.

Come può intervenire lo psichiatra?

L’importanza di riconoscere, e non trascurare, i segnali di allarme che il nostro corpo ci comunica, e l’agire tempestivamente su questi, costituisce il primo valido strumento di gestione di un malessere che ha carattere di sviluppo progressivo. Quando la situazione di malessere è conclamata, il ruolo dello psichiatra diventa fondamentale per guidare la persona verso la riconquista del proprio benessere psicofisico. La tipologia di intervento che, in questi casi, può essere attuata riguarda l’azione diretta sugli squilibri biochimici, mediante la temporanea prescrizione di farmaci specifici, al fine di ristabilire i corretti livelli di serotonina e un adeguato ritmo sonno-veglia fondamentali per ripristinare il benessere del paziente. All’approccio farmacologico, può, inoltre risultare utile e incisivo l’eventuale affiancamento di un percorso di psicoterapia.

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