La mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e gestione previsti dal D.Lgs. 231/2001 non può essere, di per sé, sufficiente a dimostrare la “colpa di organizzazione”: va valutato se, in concreto, l’assetto organizzativo dell’azienda abbia effettivamente contribuito a causare lo specifico evento infortunistico.
A seguito dell’infortunio di un operaio, avvenuto durante la sostituzione di un nastro trasportatore effettuata senza il rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, una società è stata condannata a una sanzione amministrativa di 100.000 euro, più le spese di giudizio, per la violazione degli artt. 5 e 25 septies del D.Lgs. 231/2001.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione criticando la sentenza per non aver, fra l’altro, spiegato quale sarebbe stato l’interesse o il vantaggio dell’azienda nel tollerare o promuovere le condotte che avevano portato all’infortunio, omettendo quindi di motivare l’applicabilità al caso concreto dell’art. 5, comma 1 del D.Lgs. 231/2001. La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 39615 del 20 ottobre 2022, ha accolto il ricorso, affermando che: «[…] Nonostante esistano teorie c.d. unitarie, per cui interesse e vantaggio incarnerebbero sostanzialmente un unico criterio, trattandosi di tautologica ripetizione del medesimo concetto tramite due termini differenti, in giurisprudenza si è affermata la più corretta teoria per cui si tratterebbe, invece, di criteri diversi ed alternativi. […] i due criteri vengono tenuti nettamente distinti, vale a dire operanti su piani diversi, uno (l’interesse) su quello soggettivo e l’altro (il vantaggio) su quello oggettivo. Così, l’interesse è il criterio soggettivo (indagabile ex ante) consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno. Il vantaggio, al contrario, è il criterio oggettivo (da valutare ex post), consistente nell’effettivo godimento, da parte dell’ente, di un vantaggio concreto dovuto alla commissione del reato. […] Nel caso in esame la impugnata sentenza […] è assolutamente carente.
Inoltre nulla viene detto dalla Corte territoriale nonostante uno specifico motivo di gravame sulla cd. “colpa di organizzazione”, requisito che assolve la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico integrato dalla violazione ‘‘colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare. […] proprio l’enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l’assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7’ del decreto n. 231 del 2001 ed all’art. 30 del dl.gsvo n. 81 del 2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente, ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussista la colpa di organizzazione, che va però specificamente provata dall’accusa, mentre l’ente può dare dimostrazione dell’assenza di tale colpa. […] la Corte territoriale non ha motivato sulla concreta configurabilità di una colpa di organizzazione dell’ente, non ha approfondito l’aspetto relativo al concreto assetto organizzativo adottato dall’impresa in tema di prevenzione dei reati della specie di quelli del quale qui ci si occupa, né ha stabilito se tale elemento abbia avuto incidenza causale