Intervista al dott. Riccardo Bigi, coordinatore servizio di cardiologia CDI
Il risultato della determinazione dei livelli di colesterolo nel sangue comprende generalmente 3 valori distinti: Colesterolo totale, Colesterolo LDL (low density lipoprotein, frazione legata alle lipoproteine a bassa densità) e Colesterolo HDL (High density lipoprotein, frazione legata alle lipoproteine ad alta densità).
In effetti, le due frazioni LDL ed HDL giocano un ruolo differente nel condizionare il rischio di patologia cardiovascolare: mentre le prime contribuiscono attivamente al processo patogenetico dell’aterosclerosi ed identificano quindi un aumentato rischio, le seconde appaiono coinvolte nella rimozione del colesterolo dalla parete arteriosa e dalla placca aterosclerotica e, quindi, rivestono un ruolo protettivo. Da qui la definizione di colesterolo cattivo e colesterolo buono frequentemente impiegata a scopo divulgativo.
Naturalmente il colesterolo è sempre lo stesso in entrambe le frazioni e quello che cambia è solo il tipo di lipoproteina che lo veicola. Dato Il ruolo sostanzialmente opposto delle due frazioni nel processo aterosclerotico, è evidente che la misura della sola colesterolemia totale fornisce un’informazione limitata circa il profilo di rischio. Peraltro, anche la sola valutazione della frazione LDL Può risultare fuorviante in quanto non comprende la totalità delle lipoproteine coinvolte nell’aterogenesi.
Ad esempio, i soggetti con obesità addominale, i diabetici o quelli con sindrome metabolica presentano elevati livelli di trigliceridi, bassi valori di HDL E valori relativamente normali di LDL.
A fronte di ciò, tuttavia, essi producono elevati valori di altre lipoproteine aterogene come le VLDL (a bassissima densità), le IDL (a Densità intermedia), le LDL di piccole dimensioni e le ApoB che non sono rappresentate nella comune misurazione di laboratorio della frazione LDL. Per ovviare a questa importante limitazione, è stata più di recente proposta una misura estremamente semplice ed efficace per valutare il rischio cardiovascolare connesso alla colesterolemia. Si tratta della semplice differenza fra la colesterolemia totale e la frazione HDL, indicata appunto come colesterolo non–‐HDL, la quale esprime sostanzialmente il computo di tutta la quantità di colesterolo veicolato da lipoproteine “cattive” escludendo quello veicolato da lipoproteine “buone”, le HDL appunto.
Ad esempio, un soggetto con bassi valori di colesterolo LDL ma valori elevati di colesterolo non–‐HDL rappresenta esattamente il profilo di un rischio aumentato che potrebbe sfuggire alla stima tradizionale della sola frazione LDL la quale non terrebbe in conto la presenza di elevati valori delle dense particelle LDL Di piccole dimensioni predominantemente associate ad un incremento del rischio di malattia coronarica.
Gli studi clinici più recenti di prevenzione sia primaria che secondaria hanno ampiamente confermato la validità di questo approccio confermando il ruolo di miglior marker di rischio del colesterolo non–‐HDL. In particolare, una recente analisi combinata di 68 Studi precedentemente pubblicati, ha dimostrato che questa misura rappresenta il miglior predittore di rischio di tutte le misure di colesterolemia. Un ulteriore, non trascurabile vantaggio pratico di questa misurazione è che non necessita di digiuno al momento del prelievo del campione di sangue.
Calcolo Pratico del Colesterolo non-‐HDL
Colesterolo non-‐HDL = Colesterolo totale-‐ Colesterolo HDL
Esempio: se colesterolo totale = 220 mg/dl; colesterolo HDL = 50 mg/dl, sarà colesterolo non-‐HDL = 220 -‐ 50 = 170 mg/dl
Qual è Il valore desiderabile del colesterolo non-‐HDL?
Come regola generale questo valore è di 30 mg/dl superiore ai livelli desiderabili di colesterolo LDL.
Colesterolo non-‐HDL (mg/dl) | Contributo di rischio |
>220 | molto elevato |
190 – 220 | considerevolmente elevato |
160 – 189 | marginalmente elevato |
130 – 159 | ideale |
<130 | ideale in soggetti a rischio aumentato |
<100 | ideale in soggetti ad alto rischio |