Intervista al dott. Roberto Mattioli, cardiologo CDI
Perché il diabete è una malattia molto complessa?
Il diabete mellito (DM) è una malattia molto complessa date le molteplici sindromi cliniche, diverse tra loro nell’origine (patogenesi), ma accomunate da livelli alti di glicemia (“lo zucchero nel sangue”) Il diabete non è, però, in genere solo un problema di glicemia alta, ma anche di alterazioni: del metabolismo dei lipidi (trigliceridi e colesterolo LDL), della pressione arteriosa, di una condizione cronica di lieve infiammazione, di stress ossidativo e di disfunzione dell’endotelio (tessuto di rivestimento dei vasi). La complessità del diabete è ben testimoniata dal numero di organi coinvolti nell’origine del problema e/o potenzialmente interessati da complicanze, dai moltissimi esami di laboratorio e strumentali che sono necessari per il suo monitoraggio, dal gran numero di farmaci che possono essere usati per il controllo dell’iperglicemia. Si stima che in Italia oltre 4 milioni di persone soffrano di diabete, ma circa un altro milione di persone ne è affetto senza saperlo e, conseguentemente, privo delle opportune terapie e controlli clinici.
Esistono però tanti tipi di diabete
Secondo la più recente classificazione messa a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il diabete comprende due forme principali, di gran lunga le più frequenti, il diabete mellito tipo 1 (DM1) ed il diabete mellito tipo 2 (DM2), che rappresenta la maggior parte dei soggetti diabetici.
•Diabete Tipo 1 (in passato detto Insulino-Dipendente o di Tipo giovanile o infantile o magro o chetosico) che necessita di insulina sin dall’esordio. È causato da distruzione autoimmune delle beta-cellule del pancreas che producono insulina.
•Diabete Tipo 2 (in passato detto senile o non-insulino dipendente). È causato da una variabile combinazione di un deficit di produzione di insulina e da una ridotta risposta all’azione dell’ insulina a livello degli organi bersaglio ( insulino-resistenza )
•Diabete Tipo 3 (varietà ancora in via di definizione) – È tipico dell’età anziana e caratterizzato da iperglicemia e demenza per deficit di insulina a livello cerebrale (numero di casi in Italia poco conosciuto, ma probabilmente non piccolo e considerato fra i soggetti con diabete tipo 2).
•Diabete gestazionale – Rappresenta un’alterazione del metabolismo glucidico determinata da alcune variazioni ormonali specifiche della gravidanza e come tale tende a regredire dopo il parto. In alcuni casi tuttavia (circa il 15%) l’iperglicemia può persistere ed evolvere in diabete tipo 2. Occorre precisare che la pregressa presenza di diabete gestazionale aumenta il rischio di sviluppare diabete tipo 2 anche a distanza di anni dal parto e pertanto sarà utile controllare periodicamente almeno glicemia ed emoglobina glicata (HbA1c).
•LADA ( acronimo di Latent Autoimmune Diabetes of Adult ) – identico nell’origine al diabete tipo 1, ma a comparsa più tardiva e decorso meno eclatante, tanto da poter essere controllato a lungo anche senza terapia con insulina (stima, in aumento, circa 150-200 mila persone in Italia, spesso con erronea diagnosi di diabete tipo 2).
•Diabete monogenico (MODY, acronimo di Maturity-Onset Diabetes of the Young) – legato a mutazioni di geni chiave nella regolazione del metabolismo glucidico che vengono trasmesse da una generazione all’altra tanto che la malattia, presente già in età giovanile, viene riscontrata in nonni, genitori e figli (circa 50 mila persone in Italia, spesso con erronea diagnosi di diabete tipo 2). •Diabete secondario – È il diabete che insorge a causa di altre malattie fra cui obesità (è stato coniato il termine diabesità), pancreatite cronica, cirrosi epatica, acromegalia, Sindrome di Cushing; oppure causato da interventi chirurgici sul pancreas (per esempio pancreasectomia) o dall’utilizzo protratto di farmaci/sostanze chimiche (per es. cortisone, farmaci anti-retrovirali, etc…) (circa 50 mila persone in Italia).
Cosa c’entra il cuore?
La cardiopatia ischemica (Coronary Artery Disease, CAD ) rappresenta la più frequente causa di mortalità nel paziente diabetico, sia di tipo 1 sia di tipo 2. Una diagnosi accurata e precoce di tale complicanza è pertanto indispensabile, al fine di ridurre la morbilità e la mortalità a essa legate. Tale quadro si associa a un numero di eventi coronarici acuti stimato da 2 a 4 volte maggiore rispetto al soggetto non diabetico. La prevalenza del diabete nella popolazione mondiale è all’incirca raddoppiata, attestandosi a oltre il 5% della popolazione, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le proiezioni per gli anni a venire stimano un ulteriore raddoppio della prevalenza del diabete entro il 2030 per un totale di 370 milioni nel mondo. Come già detto più del 70% dei diabetici muore per cause cardiovascolari e l’aumento del numero dei diabetici nei prossimi anni farà sì che il trend verso la diminuzione della mortalità per malattie cardiovascolari, osservato negli ultimi decenni, si attenui o addirittura si inverta se non si troverà il modo di prevenire l’insorgenza del diabete e/o di ridurne gli effetti pro-aterogeni. In particolare, sono tre i fattori di rischio nel diabetico su cui è stata posta principalmente l’attenzione sulla base dei risultati di numerosi studi di intervento nei non diabetici: quadro lipidico, ipertensione e glicemia.
Quali sono le terapie?
La terapia ipo-lipemizzante, specie con statine, ha dato prova di efficacia nel prevenire gli eventi cardiovascolari nel diabetico, tanto che è stata inserita tra le raccomandazioni più pressanti nelle linee guida congiunte della Società Europea per lo Studio dell’Aterosclerosi e di Cardiologia. Anche la terapia dell’ipertensione è annoverata a buon diritto tra i mezzi atti a ridurre il rischio cardiovascolare nei diabetici, ma qualche dubbio rimane sugli obiettivi. In considerazione dell’alto rischio del diabetico, in alcuni studi si è provato a raggiungere valori pressori inferiori a 130/85 mmHg, ma i risultati non sono stati soddisfacenti, anzi, in qualche caso, sono stati negativi e attualmente si preferisce una terapia meno aggressiva limitata al raggiungimento di valori di pressione intorno a 140/90 mmHg. La prevalenza di malattia cardio-vascolare (MCV) nei pazienti con DM di tipo 2, è tale che il DM può considerarsi come un equivalente di MCV. Cioè, il paziente diabetico va globalmente considerato come “portatore” di malattia cardiovascolare, anche se questa non si è ancora manifestata. La diagnosi e quindi la terapia devono essere particolarmente precoci.
Il diabete può avere complicanze microvascolari?
Il 37% dei pazienti con DM di tipo 2 presenta una complicanza microvascolare quali quelle renali, le più frequenti tra gli uomini (25% rispetto al 19% nelle donne) e quelle oculari con incidenza maggiore nelle donne (20% negli uomini e 23% nelle donne). La presenza di una complicanza microvascolare predice in modo indipendente la coronaropatia: questo è vero sia per la nefropatia, sia per la retinopatia. Una riduzione della funzione renale con o senza microalbuminuria è associata ad aumentato rischio per MCV. La presenza di una qualche forma di microangiopatia correla con un’aumentata incidenza di un primo evento coronarico sia nell’uomo, sia nelle donne. I pazienti diabetici, anche in assenza di diagnosi di coronaropatia, presentano lesioni coronariche significative nel 50-80 % dei casi; in generale hanno una estensione della patologia coronarica maggiore rispetto ai pazienti non affetti da diabete.
Quali sono le tecniche diagnostiche?
La diagnostica della cardiopatia ischemica nel paziente diabetico deve dunque tenere in considerazione diversi aspetti tra i quali: l’identificazione del rischio del paziente. La disponibilità di nuove tecniche diagnostiche, quali la risonanza magnetica cardiaca o l’angioTac-coronarica consentono, unitamente ai test standard quali Elettrocardiogramma (ECG), ecocardiogramma da sforzo (eco-stress), Test ergometrico, una diagnosi precoce e accurata di cardiopatia ischemica A tale proposito potremmo riconoscere diverse categorie: 1) pazienti a rischio elevato di sviluppare una coronaropatia; 2) pazienti che presentino una sintomatologia suggestiva di cardiopatia ischemica; oppure 3) pazienti nei quali vi sia il sospetto di un’eventuale coronaropatia asintomatica. Per quanto riguarda quest’ultima categoria, va ricordato che il paziente diabetico mostra una prevalenza di ischemia miocardica silente dal 10 al 20%, a seconda dei vari studi, in confronto ad un 1-4% stimabile nella popolazione non diabetica. I test diagnostici non invasivi rappresentano ovviamente l’approccio primario e andranno applicati in base alle caratteristiche cliniche e anamnestiche presentate dal singolo paziente. Va inoltre ricordato che, mentre per la popolazione non diabetica un test diagnostico negativo per CAD garantisce una bassa percentuale di eventi per diversi anni, per i pazienti diabetici tale periodo è limitato a 2-3 anni, a causa della rapida progressione della malattia in questa popolazione. Un’ecocardiografia da stress negativa, per esempio, si associa, nel paziente diabetico, a una percentuale di eventi pari allo 0% solamente nel primo anno, all’1,8% a 3 anni e al 7,6% a 5 anni di follow-up. In conclusione, il paziente diabetico è un soggetto ad alto rischio di patologia cardio-vascolare e va analizzato e trattato sia precocemente, sia con particolare attenzione al fine di evitare e/o rallentare la progressione della malattia.
Bibliografia
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