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Burnout: una sindrome pericolosa, sempre più diffusa

Intervista al dott. Andrea Giuliano Verga, medico del Lavoro CDI

Una condizione preoccupante che può interessare molte professioni, in particolare quelle caratterizzate da ruoli sociali con un carico emotivo rilevante, come medici, infermieri, insegnanti, formatori, personale delle forze dell’ordine, manager.

Da dove nasce il termine “burnout”?
La stampa recentemente ha dato un grande rilievo alla sindrome da burnout, termine che letteralmente significa bruciato, esaurito. L’interesse della notizia deriva dal fatto che il burnout è stato riclassificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che lo ha inserito fra i “problemi correlati con la sfera lavorativa”, nell’ambito della classificazione generale delle malattie e dei disturbi, nota come “International Classification of Disease“(ICD). Attualmente è in vigore la classificazione ICD 10°, mentre da gennaio 2022 si passerà alla nuova classificazione: la versione 11° (ICD-11). Storicamente il primo ricercatore a descrivere questa condizione è stato, nel 1974, Herbert Freudenberger, psicologo americano di origine tedesca, che ha usato il termine “staff burnout”. In realtà il termine burnout era già comparso in letteratura, in un racconto dello scrittore Graham Greene nel 1960 intitolato “Burnt-out case ”. Successivamente questa sindrome (in ambito clinico quando si usa il termine sindrome si intende un insieme di sintomi e segni ) è stata indagata dalla psicologa sociale Christina Maslach, dell’Università di Berkeley in California. Inizialmente, si è ritenuto che questo disturbo colpisse prevalentemente i profili professionali coinvolti in attività di aiuto, come quelli sanitari, ma successivamente si è verificato che questa condizione può interessare anche molti altre professioni, in particolare quelle caratterizzate da ruoli sociali con un carico emotivo rilevante, come insegnanti, formatori, personale delle forze dell’ordine, manager, ecc.

Come si riconosce il burnout?
Christina Maslach ha classificato in tre categorie i sintomi principali della sindrome da burnout. Questa inizia con un esaurimento emotivo, a cui poi segue un senso di spersonalizzazione e la comparsa di cinismo, che poi evolve nella terza fase in disturbi quali senso di inefficienza e mancanza di realizzazione personale. Questi tre insiemi di disturbi sono condivisi dalla comunità scientifica, come facenti parte del quadro sintomatologico principale del burnout. L’esaurimento emotivo è conseguenza di un’elevata richiesta dell’ambiente di lavoro in termini emozionali e di responsabilità verso gli altri, poi si verifica la depersonalizzazione e il cinismo come modalità di risposta difensive, messe in atto per cercare di sganciarsi da situazioni professionali troppo faticose e coinvolgenti. Il terzo gruppo di sintomi è caratterizzato da sentimenti di autosvalutazione, inadeguatezza e inefficacia e può evolvere anche verso condotte autolesive. I colleghi di lavoro del soggetto che va incontro a questo disturbo, almeno nelle fasi inziali, possono non percepire una condizione di sofferenza, perché ben mascherata dall’interessato. Colpisce, in questo insieme di disturbi, che un soggetto, possa apparire ben funzionante in ambito lavorativo, anche se vive soggettivamente una condizione di spossatezza e spersonalizzazione.

Quali sono le cause?
Le cause che possono portare ad un quadro di burnout sono molteplici e sono simili a quelle che generano altre condizioni di stress. Lo stress occupazionale gioca sicuramente un ruolo importante, ma intervengono in questo dinamismo anche altri fattori come un profilo personale caratterizzato da perfezionismo, tratti narcisisti del carattere, un eccessivo idealismo nel lavoro o nel ruolo ricoperto, ma anche una tendenza soggettiva a sintomi depressivi. Questo profilo psicologico individuale si associa a fattori psicosociali e disfunzioni organizzative, quali sovraccarico di lavoro, difficoltà intrinseche al tipo di lavoro svolto, ma anche conflitti di ruolo, mancanza di feed-back, limitata autonomia decisionale, ecc. Come si capisce molti di questi elementi giocano un ruolo importante, anche in quello che viene definito in senso più generale come stress lavoro-correlato. Un dato di particolare importanza è che questo disturbo richieda del tempo per svilupparsi, cioè non sia un evento che si verifica in modo rapido. In effetti stati individuati diversi stadi nel suo sviluppo. Herbert Freudenberger aveva originariamente individuato 12 fasi, che successivamente Christina Maslach ha riorganizzato e semplificato in quattro: la prima è caratterizzata da una condizione in cui la persona vuole mostrare il proprio valore professionale a se stesso e agli altri, ignorando e trascurando i propri bisogni personali. La seconda fase coincide con la comparsa di un esaurimento fisico ed emotivo, e con la repressione di bisogni personali, con un cambiamento dei valori di riferimento e la negazione dei conflitti esistenti. La terza fase è segnata da comportamenti messi in atto per fini di autoprotezione. Infine la quarta fase, la più grave, vede la comparsa di rassegnazione professionale, senso di fallimento e di inutilità, fino a ideazioni anche suicidarie. .

Cosa fare a livello di prevenzione?
A prescindere dalla descrizione della sindrome da burnout, quello che emerge è la possibilità di prevenire questo disturbo, sia perché non dipende solo da aspetti psicologici individuali, ma anche da fattori sociali ed organizzativi. In questa direzione la valutazione del rischio stress lavoro correlato può facilitare una corretta analisi delle reali condizioni di lavoro e permettere l’attuazione delle misure correttive necessarie, a seconda degli elementi critici e migliorabili emersi. Un secondo aspetto importante risiede nel tempo richiesto perché questo il burnout passi dalla fase inziale a quella più grave. In questo senso, pur nella consapevolezza delle difficoltà di relazione che segnano oggi il rapporto medico-paziente, è tuttavia pur vero che un medico del lavoro, ben inserito nel contesto dell’azienda in cui opera, si trova in una posizione favorevole per poter porre almeno un sospetto diagnostico. Sarà poi necessario, come prevede anche la normativa in vigore nel nostro paese in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’invio da parte del medico competente ad uno specialista di disturbi nervosi e mentali, che possa permettere una gestione precoce e condivisa fra i diversi sanitari. La sorveglianza sanitaria a cura del medico competente in azienda, se ben condotta, può facilitare l’instaurarsi di un rapporto medico-paziente, che renda possibile la comunicazione di questa tipologia di disturbi da parte dei soggetti più in difficoltà. Il medico competente, che conosce non solo i dipendenti dell’azienda, ma anche la sua organizzazione, può quindi suggerire i cambiamenti necessari in ambito preventivo e, se consultato, almeno porre il sospetto diagnostico e richiedere gli approfondimenti necessari. I medici competenti che operano presso il CDI dispongono di tutti gli strumenti necessari per porre una diagnosi precoce e permettere una gestione in tempi rapidi di queste situazioni vantaggio dei soggetti interessati e delle imprese.

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