Dal primo gennaio le lavoratrici possono restare al lavoro fino al termine della gravidanza, astenendosi dal lavoro per cinque mesi dopo il parto. Ma a quali condizioni?
L’art. 1, comma 485, della legge di bilancio 2019 (Legge 30 dicembre 2018, n. 145) ha modificato l’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151) introducendo per le lavoratrici, dal 1 gennaio 2019, la facoltà di astenersi dal lavoro per cinque mesi dopo il parto, in alternativa al regime ordinario che prevede l’astensione dal lavoro durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi dopo il parto.
La facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo il parto è esercitabile dalle lavoratrici “a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato [il ginecologo] e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”.
Va osservato che l’art. 12, comma 1, della Legge 8 marzo 2000, n. 53 (successivamente ripreso dall’art. 20 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151) già prevedeva per le lavoratrici una deroga rispetto al regime ordinario di astensione. Tale deroga comporta la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, sempre a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Stante l’identica previsione limitatrice dell’esercizio della facoltà di astensione ritardata, nel caso del lavoro fino all’ottavo mese di gravidanza e nella nuova possibilità di lavoro fino al nono, è ragionevole ritenere, nelle more di eventuali ulteriori interpretazioni da parte del Ministero, che l’applicazione delle due norme debba sottostare ad analoghi principi interpretativi, tra i quali si ricordano in particolare quelli riportati dalla Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 7 luglio 2000, n. 43.