Secondo la Cassazione penale, il datore di lavoro ha il dovere di verificare l’adeguatezza delle modalità di prevenzione dei rischi individuate dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, facendo ricorso all’ordinaria diligenza basata sulle competenze tecniche di diffusa conoscenza e sulle regole di comune esperienza.
Il caso riguarda l’infortunio occorso a un lavoratore durante l’attività di rimozione delle scorie da un forno contenente alluminio fuso a 700 gradi: colpito al viso e al corpo da schizzi di metallo fuso, l’infortunato aveva subito ustioni di secondo grado alle mani e ustioni di primo grado al volto, all’addome e agli arti inferiori. Il datore di lavoro era stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica a causa dell’inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale forniti al lavoratore: guanti in pelle con resistenza meccanica ma non al calore e alti soltanto sino al polso, grembiule e pantaloni della tuta in tessuto di cotone anziché indumenti “alluminizzati”, nessuna protezione del viso e del capo.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione lamentando, fra l’altro, di essersi avvalso, pochi mesi prima dell’infortunio, di un ingegnere esterno all’azienda per aggiornare il documento di valutazione dei rischi, dal quale era emerso che i dispositivi di protezione individuale forniti sarebbero risultati idonei rispetto al rischio di eventuale contatto con il metallo fuso; inoltre da anni, in azienda, si operava con quel tipo di protezioni senza che si fosse mai verificato alcun infortunio. Quindi il datore di lavoro aveva fatto incolpevole affidamento sulle indicazioni tecniche del documento di valutazione dei rischi recentemente aggiornato e sull’esperienza, protratta negli anni, di lavoro in azienda con quel tipo di protezioni: da cui la mancanza di prova che l’imputato conoscesse o potesse conoscere l’inadeguatezza dei dispositivi rispetto al rischio di schizzi di alluminio bollente.
La IV Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 15406 del 15 aprile 2024, ha rigettato il ricorso affermando che: «[…] nel caso in esame, è indiscutibile la colpevolezza in senso oggettivo ma è contestata dalla Difesa la colpevolezza in senso soggettivo, essendosi l’imputato avvalso di un esperto per l’individuazione dei rischio e degli strumenti idonei a prevenire, [ma] affinché possa escludersi la colpa soggettiva del datore di lavoro che si sia avvalso di “saperi esperti” per la individuazione del rischio e delle modalità per prevenirlo, è necessario che l’informazione fornita dal tecnico non sia verificabile dal datore di lavoro tramite le proprie competenze e la ordinaria diligenza. Ciò che nel caso di specie non può ritenersi, in quanto […] guanti in pelle, peraltro alti solo sino al polso, grembiule e pantaloni della tuta in cotone, anziché indumenti “alluminizzati”, e occhiali da lavoro senza calotta che protegga il viso ed il capo non erano, con intuitiva evidenza, idonei a riparare il corpo da pericolosi schizzi di alluminio fuso a 700 gradi. Si tratta, peraltro, di ragionamento non dissimile, naturalmente mutatis mutandis, da quello che consente di individuare i limiti al principio di affidamento nell’ambito della colpa professionale sanitaria: la posizione di garanzia del sanitario, anche agente in equipe, comporta la necessità che lo stesso faccia presente ai colleghi, anche più se più anziani ed anche al capo-equipe, eventuali errori che possano essere colti con le proprie cognizioni tecniche e con la necessaria diligenza […]. Allo stesso modo – può affermarsi – il datore di lavoro ha il dovere di rilevare eventuali rischi non evidenziati dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione ovvero l’adeguatezza della modalità di prevenzione dei rischi pur in effetti correttamente individuati, ove ciò emerga con la ordinaria diligenza sulla base di competenze tecniche di diffusa conoscenza ovvero di regole di comune esperienza nel caso di specie: il rischio, correttamente individuato, di ustione da metallo fuso non è contenibile mediante materiali quali pelle o cotone ma tramite indumento alluminizzato che coprano tutte le parti del corpo esposte ai rischio). Opinando altrimenti, si rischierebbe di giungere ad ammettere una possibilità concreta di traslazione di responsabilità datoriale, che è invece estranea al sistema della sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 17 del d. Igs. n. 81 del 2008), mentre una saggia e prudente applicazione del discrimine indicato (tramite la valorizzazione di conoscenze, anche tecniche, diffuse, ove eventualmente esistenti, e della ordinaria diligenza) può contribuire al raggiungimento di risultati in cui, esclusi automatismi decisori, l’affermazione del diritto si coniughi con la soluzione secondo giustizia del caso concreto. […]».