Il 31 maggio 2023 è la Giornata Mondiale senza tabacco. Cosa è cambiato negli ultimi 20 anni. Intervista al dott. Stefano Spagnotto, pneumologo CDI
Il cancro del polmone è la causa più diffusa di neoplasia letale ad oggi in tutto il mondo. Si stimano più di 1,8 milioni di decessi all’anno.
Sembra quasi ridicolo sostenere, davanti ai medici e alla popolazione in generale, quali sono i potenziali danni del fumo di tabacco in quanto la reazione di tutti potrebbe essere univoca: lo sappiamo, non c’è molto di nuovo, è argomento trito e ritrito, il fumo nuoce.
Tuttavia, nonostante questo luogo comune, basta fare una ricerca bibliografica sugli articoli divulgativi e scientifici validati per scoprire che nell’ultimo ventennio (dal 2000 in avanti) sono stati pubblicati oltre 366.000 saggi ed oltre 20.200 “peered rewieved papers” che caratterizzano ulteriormente il fenomeno dei danni cellulari. Nel ventennio precedente (1980-2000) erano stati pubblicati 28.400 saggi e 5.580 articoli scientifici. Di tutta questa enorme mole di dissertazioni, oltre 299.000 (2000-2023) associano i danni ad altri apparati/sistemi diversi dal respiratorio. Le parole che ricorrono più frequentemente (oltre quelle legate all’universo polmone) sono: cardiovascolare, ateromasia, cuore, encefalo, faringe, laringe, parodonto, stomaco, esofago, ma anche bambini, età infantile, salute fetale, infertilità maschile, e infine non stupisce di trovare associazioni con le malattie autoimmuni e reumatiche e un oneroso coinvolgimento della cute. In altre parole: un mondo in continuo divenire e sempre più dettagliato. E le novità sono visibili.
Negli ultimi 20 anni: cosa è cambiato
Si pensi ad esempio, per uno specialista con 20-25 anni di carriera, come è virata la percentuale di neoplasie spinocellulari rispetto all’adenocarcinoma del polmone (un tempo più frequenti le prime, ora le seconde). Per chi ha avuto modo di vedere questi fenomeni ha anche potuto apprezzare gli enormi passi in avanti della medicina e della farmacologia nel campo della broncopneumopatia cronica ostruttiva ed asma; valga uno su tutti l’esempio di come si sono ridotti i ricoveri ospedalieri per broncopneumopatia cronica ostruttiva riacutizzata e asma e di come è cambiata la gestione dell’insufficienza respiratoria.
Nel 1985 l’aspettativa di vita in ossigenoterapia era di circa 4 anni, oggi vengono curati abitualmente pazienti che, tra ossigenoterapia domiciliare a lungo termine e ventilazione non invasiva, conosciamo e seguiamo da almeno 15 anni. È ovviamente chiaro che non tutto viene solo dal fumo di tabacco, ma soprattutto è affiancato da PM2,5, NO2, VOC (volatile organic compound), asbesto, radon, abitudini alimentari e virus oncogeni.
Un panorama enorme si è aperto sull’inquinamento indoor, si sono sondati capitoli affascinanti che parlano addirittura di “second hand smoke” o degli effetti statisticamente peggiorativi sulle donne sposate ai fumatori ed infine, con la genetica, si sono capiti gli effetti sul genoma dei nascituri portati da mamme che fumano. Sono stati condotti studi sulle desensibilizzazioni recettoriali negli asmatici fumatori, oppure, per gli stessi soggetti, della minor efficacia metabolica degli steroidi in associazione all’abitudine tabagica.
Questi ed altri studi hanno iniziato a sondare il complesso ed affascinante mondo della genetica. Fenotipi, genotipi, metabolomica, marcatori, citochine, anticorpi monoclonali (poi noti come farmaci biologici), ricerca di mutazioni genetiche ed espressione delle mutazioni sui tessuti neoplastici, stanno cambiando radicalmente le prospettive terapeutiche di alcune affezioni. Si sta transitando, almeno per le affezioni gravi, verso una farmacologia sempre più personalizzata. Una sempre crescente sensibilità delle metodiche diagnostiche e l’applicazione della multidisciplinarietà dell’approccio promettono brillanti diagnosi prima di varcare il famoso orizzonte clinico in cui decadono le reali possibilità delle cure con restitutio ad integrum.
Le abitudini da rompere
Tuttavia la cosa che più colpisce resta il fatto che sono comparsi nell’ultimo ventennio 86.700 studi sulla cessazione del fumo contro le 11.500 pubblicazioni del ventennio precedente. Questo significa che lo sforzo esiste, che le strategie vanno migliorate e perseguite. Si può fare! Iniziano a proliferare studi che associano setting genetici a comportamenti di dipendenza o di riuscita nel cessare l’abitudine. Strategie cognitivo-comportamentali più che farmacologiche. Un aspetto positivo che illumina il panorama, che ci esorta a non lasciare da soli i dipendenti dal fumo.
Un aiuto in continua evoluzione per non cedere ad accontentarsi di un solo tentativo. Non bisogna cedere al vittimismo di una dipendenza che non si vuole spezzare, non bisogna cedere ad un tentativo effettuato per mettersi la coscienza a posto, per stare, temporaneamente, solo un poco meglio. Bisogna riuscirci.
L’aspetto più impattante è come questa abitudine generi dipendenze. Purtroppo le dipendenze sono un problema molto diffuso, che siano alcool, sostanze, comportamenti binge, ludopatie, social, velocità, alcune forme di malcelata violenza e talvolta anche farmaci. Com’è brutto vedere figli e nipoti intelligenti che poi vengono irretiti da queste abitudini.
Possiamo fare una stima dei rischi, dare consigli, curare al meglio (medicina personalizzata) e soprattutto dare supporto: otterremo salute e serenità, valorizzeremo il senso di prossimità con chi soffre. Bisogna riuscirci.