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Sicurezza e salute sul lavoro: a tre anni di distanza, cos’è cambiato con la pandemia

In occasione della ricorrenza della Giornata mondiale dedicata alla Sicurezza e Salute sul lavoro, è doveroso domandarsi cosa stia succedendo nel mondo del lavoro.
Intervista al dott. Andrea Giuliano Verga, coordinatore medici competenti CDI

Si tratta di una domanda impegnativa, ma alla quale si può rispondere precisando che accanto ai problemi tradizionali e purtroppo non ancora risolti, quali gli infortuni e le malattie professionali come attestano tristemente le cronache, si sono realizzati cambiamenti che possono diventare a loro volta nuovi elementi di rischio.

In un illuminante contributo scientifico, recentemente pubblicato sulla rivista italiana “La Medicina del Lavoro” a cura di ricercatori dell’Inail[1], si riporta che: “ Fenomeni di natura mondiale quali l’emergenza Covid-19, la guerra in Europa e il climate change hanno accresciuto i potenziali impatti psicologici legati alla stabilità del lavoro, alla crisi economica, alla paura per la propria incolumità, all’adozione di nuovi comportamenti e consuetudini, con un effetto conseguente anche sul lavoro”.

Quanto descritto è perfettamente riscontrabile nelle realtà aziendali in cui perdurano le conseguenze della riorganizzazione determinata dalla pandemia mondiale Covid-19, a cui si aggiungono i problemi di adattamento rappresentati dai continui sviluppi tecnologici e dai mutamenti dell’organizzazione del lavoro.

Quali sono i cambiamenti determinati dalla pandemia

Come noto la pandemia Covid-19 ha determinato cambiamenti di natura organizzativa che sono ancora presenti, come l’ampio ricorso al “lavoro agile” o “smart-woking” o al “telelavoro”, che costituiscono ormai una realtà consolidata e dalle quali è impensabile poter tornare indietro. Su questi cambiamenti si inseriscono gli effetti della crisi economica, dell’incertezza del posto di lavoro, della stabilità non più certa come nel passato. Per alcune professioni come quelle che hanno compiti di assistenza e di front-office, come ad esempio il personale sanitario o quello del trasporto pubblico solo per citarne due fra gli altri, si sta evidenziando in modo sempre più chiaro un rischio di violenza sotto forma di aggressioni.

Cos’è il rischio psicosociale

I rischi psicosociali sono quindi diventati una nuova area di intervento per assicurare la sicurezza e salute sul lavoro. Per comprendere meglio, se lo “smart-working” ha reso possibile continuare a lavorare anche durante la pandemia o in luoghi di libera scelta, ha però anche facilitato “l’isolamento sociale, l’aspettativa di costante reperibilità, l’interferenza del lavoro sulla vita privata, l’impoverimento della comunicazione informale”. Quelli citati sono tutti fattori di rischio per la salute, che concorrono a generare condizioni di stress lavoro correlato. Nell’ambito dello stress lavoro correlato, rientra anche il tecno stress, che si configura per un uso eccessivo e disfunzionale delle tecnologie, con richieste di apprendimento e di risposta in tempi brevi.

Altri aspetti che rientrano nei fattori psicosociali e che generano stress sono: la mancanza di autonomia decisionale, un eccessivo carico di lavoro, la non chiarezza del proprio ruolo. A queste possibili condizioni di rischio in ambito aziendale si deve rispondere con un adeguato supporto da parte dei responsabili e di aiuto da parte dei colleghi. Come indicato dagli Autori “a seconda di come questi fattori vengono gestiti possono avere sia esiti positivi (soddisfazione lavorativa, coinvolgimento nel lavoro, produttività) che impatti negativi (stress, malessere, assenze per malattia, ecc.)”  

Quali sono le strategie di intervento della medicina del lavoro

Per la medicina del lavoro si tratta quindi di allargare l’area di intervento partecipando, insieme agli altri interlocutori appartenenti anche a discipline diverse, non solo alla valutazione dei rischi, ma anche alla loro gestione.  Al momento nelle aziende prevale la fase di valutazione dei rischi, nel nostro caso si tratta di valutare bene il rischio stress lavoro-correlato, ma è ancora lacunosa la fase di gestione dei rischi, cioè di azioni correttive da implementare.

Questa ulteriore fase, che viene dopo quella di valutazione, deve coinvolgere diverse figure aziendali, ai diversi livelli gerarchici e deve coinvolgere anche il medico competente, insieme alle altre figure tecniche di volta in volta individuate come necessarie: psicologo del lavoro, ergonomo, ecc. Non si tratta di un’azione che solo le aziende medico-grandi possono sostenere. E’ importante che in ambito aziendale il datore di lavoro e le figure che si occupano di prevenzione abbiano “la consapevolezza dell’esistenza di un circuito positivo nella gestione dei fattori psicosociali”. E’ bello che in occasione di questa giornata mondiale, dedicata alla riflessione sui temi della sicurezza e salute al lavoro, si possa pensare non solo in termini negativi cioè contro gli infortuni e le malattie professionali, ma anche in modo propositivo, cercando di avvicinarsi un po’ di più all’obbiettivo di salute, proposto forse in modo un po’ utopico dall’OMS, che definisce la salute come “ uno stato di benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in assenza di malattia  o di infermità”.  Quindi non solo la doverosa prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali è prioritaria, ma anche la gestione dei fattori di rischio psicosociali è ugualmente indispensabile, così da assicurare non solo ambienti di lavoro sicuri ma anche fonte di benessere e di soddisfazione.


[1] Rischi psicosociali nel mondo del lavoro che cambia: dalla cultura della valutazione dei rischi alla gestione delle opportunità. Cristina Di Tecco, Benedetta Persechino, Sergio Iavicoli  Med Lav 2023; 114

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