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D.Lgs. 231/2001 e responsabilità dell’ente per fatto commesso da ignoti

Per la Cassazione penale l’assoluzione dei dipendenti non è sufficiente per annullare la sentenza di condanna della società ai sensi del D.Lgs. 231/2001: è sempre necessario dimostrare che l’assoluzione derivi dall’inesistenza del fatto illecito e non, semplicemente, dalla mancata individuazione della persona fisica del suo autore.

Il caso riguarda un infortunio sul lavoro causato dalla caduta di un portone scorrevole, non correttamente assicurato alle guide, che aveva cagionato lesioni gravi a un dipendente. Nel successivo processo la società aveva patteggiato una pena per violazione del D.Lgs. 231/2001, mentre gli imputati persone fisiche erano stati, tre anni dopo, assolti dal reato di lesioni personali colpose con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590, comma 3 c.p.). La società ha quindi proposto alla Corte d’appello istanza di revisione per la risoluzione del conflitto tra la sentenza di patteggiamento, pronunciata nei suoi confronti, e la sentenza di assoluzione degli imputati persone fisiche. La Corte d’appello, tuttavia, ha rigettato l’istanza, affermando che la revisione sarebbe stata possibile solo in caso di inconciliabilità tra i fatti storici posti a fondamento delle due sentenze.

La società ha, quindi, proposto ricorso per cassazione contro tale decisione, affermando, fra l’altro, che con la sentenza di assoluzione dei due imputati, rispettivamente delegato del datore di lavoro e custode dello stabilimento, si sarebbe affermata l’insussistenza del reato di lesioni colpose, ovvero del c.d. reato presupposto della responsabilità dell’ente secondo il D.Lgs. 231/2001: in mancanza del reato presupposto, pertanto, nessuna responsabilità poteva essere addebitata all’ente.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 10143 del 10 marzo 2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che «[…] Nella sentenza di assoluzione non si è negato il fatto (caduta di un portone scorrevole, non correttamente assicurato alle guide, che aveva cagionato lesioni gravi al dipendente sul luogo di lavoro), ma si è escluso che i due imputati rivestissero una posizione di garanzia. Il vulnus della ricostruzione offerta dalla difesa è insito nel prospettare che il giudice della sentenza abbia negato l’esistenza delle lesioni derivate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. La lettura della sentenza rivela tutt’altro: il giudice, sebbene in modo non pertinente rispetto alla formula assolutoria adottata, ha ritenuto che il fatto sussista, ma che non sia ascrivibile a responsabilità degli imputati. […] Può trarsi dalla disamina del caso il seguente principio: “In caso di revisione della sentenza avente ad oggetto la responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 per contrasto di giudicato – art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p. ove in separato giudizio si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata, discendendo la inconciliabilità del giudicato solo dalla negazione del fatto storico e non anche dalla mancata individuazione della persona fisica del suo autore. Ciò in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato”.

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