La Cassazione penale ha confermato la condanna a un mese di reclusione per il titolare di un negozio che non ha adottato un adeguato sistema di segnalazione della presenza di una parete vetrata, contro la quale un cliente ha urtato fratturandosi il naso; per i giudici, la sentenza sarebbe stata comunque “troppo mite”.
Il caso riguarda la condanna del titolare di un esercizio commerciale a un mese di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale) per violazione dell’art. 590 c. p. (lesioni personali colpose) in relazione all’art. 63 e all’All. IV, punto 1.3.6 del D.Lgs. 81/2008 («Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all’altezza di 1 metro dal pavimento, ovvero essere separate dai posti di lavoro e dalle vie di circolazione succitati in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le pareti, né rimanere feriti qualora esse vadano in frantumi. Nel caso in cui vengano utilizzati materiali di sicurezza fino all’altezza di 1 metro dal pavimento, tale altezza è elevata quando ciò è necessario in relazione al rischio che i lavoratori rimangano feriti qualora esse vadano in frantumi»), a seguito dell’impatto di un cliente contro la parete vetrata posta all’ingresso dell’esercizio commerciale, con conseguente frattura del setto nasale. All’imputato sono stati contestati gli addebiti di colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione della normativa di prevenzione infortuni sul lavoro per aver omesso di adottare un adeguato sistema di segnalazione della presenza del vetro.
L’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione lamentando, fra l’altro, il trattamento sanzionatorio ritenuto troppo severo e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dell’assenza di precedenti penali.
La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 2308 del 20 gennaio 2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che: «[…] la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, […] essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale. Così pure, in tema di circostanze attenuanti generiche, […] non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione […]. La Corte di Appello ha fatto buon governo di tali principi ed ha ritenuto che la pena di un mese di reclusione fosse addirittura troppo mite, se rapportata al grado della colpa e all’assenza di segnali di resipiscenza, e che non fossero riconoscibili le circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi da valorizzare ai fini di una ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio, al di là della mera incensuratezza, per espresso dettato normativo insufficiente».