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Prestazioni occasionali: niente sconti sulla tutela antiinfortunistica

La Cassazione penale ribadisce l’irrilevanza della forma contrattuale: se l’infortunato è sottoposto al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, si devono applicare le aggravanti previste dal codice penale per violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Il caso riguarda un infortunio mortale sul lavoro causato dal ribaltamento di un macchinario durante le operazioni di carico di esso su un autocarro, e la conseguente condanna del datore di lavoro per omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ai sensi dell’art. 589 comma 2 c.p..

Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione sostenendo, fra l’altro, che il rapporto di lavoro sarebbe stato erroneamente qualificato come subordinato in quanto, dalle deposizioni testimoniali, sarebbe risultato, invece, che l’infortunato stava svolgendo una prestazione occasionale con rimborso delle spese di viaggio. Inoltre, il condannato sosteneva di aver fornito supporto tecnico e materiale alle operazioni di carico con carrello e gru e che l’infortunio sarebbe stato reso possibile solo da un comportamento abnorme e imprevedibile dell’infortunato.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 13736 del 11 aprile 2022, ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso basato sull’imprevedibilità del comportamento dell’infortunato, in quanto costituente, in questo caso, una richiesta di reinterpretare gli elementi di prova già valutati dai giudici di primo e secondo grado, mentre la Corte di Cassazione deve limitarsi all’esame puramente giuridico della controversia, dando per provati i fatti come emergono dalla sentenza impugnata. Inoltre, per quanto riguarda la configurazione del rapporto quale “prestazione occasionale”, la Corte ha chiarito che: «[…] il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (già in vigore all’epoca del fatto) definisce il lavoratore, destinatario della tutela antiinfortunistica, come “la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione” e tale definizione, poiché fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, è più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva espresso riferimento al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma 1, lett. a, D.lgs. n. 626 del 1994). […] Peraltro, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte aveva affermato il principio che, ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all’assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell’attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251). Inoltre, in una pronuncia che, pur risalente, non registra prese di posizioni difformi, la Corte ha qualificato come lavoratori subordinati coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall’onerosità del rapporto, abbiano prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini, Rv. 180135). Come noto, l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è individuato nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Le sentenze di merito, facendo ampio richiamo alle emergenze istruttorie, hanno ritenuto questa situazione esistente nel caso concreto. […]».

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