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False credenze e lo stato dell'arte sull'autismo

Intervista alla dott.ssa Paola Amadei, neuropsichiatra infantile CDI

Come scrive Stefano Vicari (responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale “Bambin Gesù” di Roma), le falsecredenze con cui più spesso debbono fare i conti i familiari di bambini, ragazzi appartenenti allo spettro autistico, così come chi di loro è ormai diventato adulto sono:

  • 1. L’autismo è determinato dallo scarso affetto dei genitori.
  • 2. L’autismo è causato dall’accumulo di materiali pesanti, come ad esempio il mercurio.
  • 3. Con un intervento psicoanalitico si può curare il bambino autistico.
  • 4. Ai bambini con autismo servono solo interventi medici.
  • 5. L’autismo passa con la crescita.
  • 6. Nessuna terapia è veramente utile: in pratica, non c’è nulla da fare.
  • 7. L’autismo è un disturbo molto raro.
  • 8. Un bambino autistico è, in realtà, un genio.
  • 9. Se il bambino parla, non può essere autistico.
  • 10. Per aiutare un bambino autistico basta dargli amore

I genitori di questi bambini/ragazzi si dovranno confrontare nel corso della loro crescita con tutte queste argomentazioni, ma prima ancora si troveranno a fare i conti con quanto la comunicazione diagnostica evoca in loro, nel momento in cui si sentono dire che loro figlio ha un disturbo appartenente allo spettro autistico.

Da quell’istante cominciano un lungo cammino, denso di preoccupazioni, incertezze e infiniti dubbi. Si trovano immersi in un vortice di emozioni negative, provano dolore che spesso si accompagna ad angoscia, frammista ad incredulità, paura, rabbia……pure possono diventare ansiosi, incerti sul che fare. La reazione più frequente alla diagnosi è quella di far convergere tutte le loro risorse fisiche e psichiche sul bambino. Si impegnano nella sua crescita, nella ricerca delle terapie migliori, si sforzano di costruire il suo miglior sviluppo possibile, finendo col trascurare loro stessi.

Cosa comporta, nella quotidianità, crescere un figlio autistico

Far fronte alla crescita di un figlio autistico comporta un importante rimaneggiamento della organizzazione familiare e dell’equilibrio della coppia genitoriale. Rende necessario apprendere come fare scelte terapeutiche consapevoli, come affrontare le specifiche esigenze educative e scolastiche di un bimbo dello spettro, ma anche come fare i conti ogni giorno con problemi pratici e burocratici. Sovente affrontare tutto ciò fa provare sentimenti negativi e ciò rende meno capaci di vedere possibili percorsi che si aprono al domani.  Un pensiero ricorrente porta a chiedersi perché proprio a loro sia capitata questa difficile esperienza. La ricerca di capire di più li porta a cercare informazioni su internet o da qualche altro specialista. Non è facile accettare una realtà gravosa che può portare ad una forma di “shopping compulsivo”, non di cibo o altro, ma di mille pareri specialisti. È difficile abbandonare la speranza di un errore diagnostico.

Sono tutte reazioni comportamentali normali, nel senso che la maggioranza delle persone li condivide, quando deve fare i conti con la diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

Pochi genitori e adulti dello spettro sanno che la gamma di questi disturbi è molto vasta, che le più recenti ricerche scientifiche hanno evidenziato che una diagnosi precoce permette di avviare trattamenti mirati e tempestivi ed influisce positivamente, talora in misura significativa, altre volte in misura più ridotta, sull’evoluzione del disturbo.

Per questo il primo passo da avviare, non appena comunicata la diagnosi è fare il possibile per aiutarli ad apprendere come imparare a fare scelte, a mettere in atto comportamenti educativi adeguati e tempestivi.

Ma cosa sono i disturbi dello spettro autistico, anche detti ASD (Autism Spectrum Disorder, in italiano DSA)?

Il recente DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) propone una nuova visione dei Disturbi dello Spettro Autistico secondo una “diade sintomatologica” che comprende da una parte un deficit persistente della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, dall’altra la presenza di pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e/o ripetitivi. Queste due dimensioni vanno inoltre combinate con altri descrittori specifici che delineano l’intensità e il livello di altre caratteristiche della condizione.

I deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale hanno a che fare con anomalie della reciprocità socio emotiva (approccio sociale anomalo, ridotta condivisione interessi, emozioni o sentimenti, incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali), con una scarsa integrazione tra comunicazione verbale e non verbale: contatto visivo, mimica e gesti, espressività facciale, e una difficoltà ad adattare il proprio comportamento ai contesti sociali, una difficoltà nella condivisione del gioco,  oltre che nella capacità di fare amicizia, fino ad arrivare, in alcuni casi, ad una mancanza di interesse per i coetanei.

I pattern di comportamento, di interessi o di attività ristrette e/o ripetitive riguardano, ad esempio, i movimenti, l’uso degli oggetti e/o l’eloquio presenti in modo stereotipato o ripetitivo (come stereotipie motorie, allineare oggetti, ecolalia, frasi idiosincrasiche); insistenza nella immodificabilità (“sameness”), con aderenza a routine prive di flessibilità o con rituali di comportamento verbale o non verbale (rigidità davanti a cambiamenti, pensiero “rigido”, iperselettività alimentare); interessi assai limitati, fissi, anomali per intensità o profondità e tipologia (attaccamento ad oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi); interessi sensoriali, oppure iper o iposensibilità a stimoli sensoriali, che se precocemente individuati permettono di ridurre l’instaurarsi di atipie comportamentali. Ad esempio, in bambini assai selettivi sul piano dell’alimentazione, per alterata sensorialità olfattiva e/o gustativa, una desensibilizzazione precoce permetterà di ampliare la gamma dei cibi e favorirà lo sviluppo corporeo.

Tutte le aree sensoriali (tatto, olfatto, gusto, udito, vista, propriocezione del proprio corpo e sensibilità vestibolare) possono essere disfunzionali, sia nel senso di essere ipereccitabili o iposensibili, oltre a presentare marcati deficit di integrazione tra esse stesse, a causa di un disturbo nel costruire connessioni corticali.

La diagnosi si basa sull’osservazione clinica e sulle informazioni riportate dai genitori e dalle persone che si prendono cura del bambino (ad es. personale scolastico, etc); al momento non ci sono esami specifici, ma prove che valutano lo stile comportamentale.

Servono in fase di diagnosi anche alcuni esami strumentali (RM, e quando possibile RM funzionale, EEG, potenziali evocati, cariotipo, etc…), anche per escludere altri disturbi o patologie.

La maggior parte delle persone risponde al meglio a interventi comportamentali altamente strutturati, attenti allo sviluppo del bambino, e rispettosi della relazione e della motivazione.

Oggi si sa che i disturbi ASD sono disturbi neuro-evolutivi e il termine SPETTRO, deriva dallo spettro dei colori, cioè si tratta di un’ampia gamma di disturbi, che presenta manifestazioni ampiamente variabili sia in termini di tipologia che di gravità.

Come ci si prende cura dei DSA?

Una volta concluso l’iter diagnostico per l’autismo, si procede effettuando vari profili: sensoriale, comportamentale e funzionale del bimbo, adolescente o adulto. Servono a individuare i punti di forza e di debolezza della persona e orientano la messa a punto di un piano di trattamento individualizzato e personalizzato, su cui si impegneranno, coordinatamente, tutti i partner di vita del bambino, e cioè: familiari, docenti e terapisti (psicologi, neuropsicomotricisti, logopedisti, figure educative con specifica formazione).

Serve quindi un apposito training (percorso di informazione scientifica), prima informativo e successivamente formativo dei “caregiver”.

Serve quindi un apposito training (percorso di informazione scientifica), prima informativo e successivamente formativo dei “caregiver”.

In breve si avvierà la presa in carico del bambino, o dell’adolescente o dell’adulto.

Il trattamento del bimbo piccolo prevede il potenziamento dei suoi punti di debolezza e l’integrazione delle linee di sviluppo (ad es attenzione congiunta, triangolazione nel gioco, coordinazione occhio con mano, etc..), all’interno di una relazione bimbo/terapista, particolarmente attenta alle linee di sviluppo e all’analisi dei comportamenti; un trattamento che sostenga il piccolo nella sua crescita, rendendolo via via consapevole del suo caratteristico sviluppo neuro-funzionale.

Con molta ironia i soggetti portatori di Sindrome di Asperger, un disturbo dello spettro che si caratterizza per essere sempre ad alto funzionamento, si definiscono neuro-atipici e ci chiedono di rispettarli così come sono.

Il percorso dell’adolescente e dell’adulto prevede il riconoscimento del loro specifico neuro-funzionamento, la sua accettazione, il potenziamento, quando possibile, delle aree di funzionamento più fragili.

Presso la sede di Largo Augusto del CDI si è aperto all’interno del servizio di psicopatologia, uno specifico ambulatorio dedicato ai disturbi dello spettro autistico.

In questa prima fase di avvio del servizio, sono presenti una neuropsichiatra infantile e una psicologa e psicoterapeuta, entrambe specificamente formate con master sui disturbi dello spettro autistico e con esperienza clinica in quest’area del neurosviluppo. Si occupano di raccogliere le richieste diagnostiche (talora domande di conferma), offrendo un primo contatto ai genitori del bambino/adolescente o al giovane adulto che si interroga sul proprio funzionamento, fornendo tutte le informazioni sui possibili percorsi attivabili all’interno del CDI. I genitori del bambino/ragazzo sono liberi di scegliere al termine di ogni fase se proseguire o arrestarsi.

Sinteticamente le fasi sono:

  1. Fase 1: la diagnosi, effettuata in base alle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità.
  2. Fase 2: il parent training informativo, il cui principale obiettivo è il miglioramento della relazione e della comunicazione genitore-figlio, attraverso la condivisione delle conoscenze più adeguate e aggiornate per favorire in ogni membro della famiglia un processo di comprensione, accettazione e consapevolezza della diagnosi.
  3. Fase 3: la presa in carico del bambino (include la valutazione funzionale multidimensionali, i trattamenti rivolti a loro figlio, la terapia mediata attraverso la formazione dei genitori e degli adulti che hanno funzioni di supporto al bambino/ragazzo, nel suo ambiente di crescita).

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